Maschilismo e sessismo interiorizzato. Una riflessione.

Chi segue la nostra pagina su Facebook lo sa, il maschilismo interiorizzato è un argomento che ci sta molto a cuore.

Condividiamo spesso quelle che noi chiamiamo le “perle quotidiane” di maschilismo interiorizzato e cerchiamo di proporre articoli che ne parlano sicuramente molto meglio di come posso farlo io.

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Uno dei miei blog preferiti era Crocevia di Pensieri, che purtroppo adesso non è più accessibile, ma che affrontava molti argomenti, tra cui anche il sessismo interiorizzato. E lo faceva, a mio modesto parere, in modo chiaro, semplice e approfondito. Mi è stato detto sulla nostra pagina che la ragazza di questo blog non è un’esperta del settore perché non si sa se è un’antropologa o se ha fatto un percorso di studi di genere. Anche questo per me è maschilismo interiorizzato. Fateci caso: una donna, per essere presa sul serio, deve sempre giustificare la sua conoscenza con degli attestati specifichi.

E’ vero che oggi, specialmente in internet, chiunque può fare la tuttologa o il tuttologo, ma è anche vero che si può diventare esperti ed esperte in qualcosa anche nel corso della vita, non necessariamente attraverso il percorso di studi designato. Sono sempre dell’idea che nessuna e nessuno nasca imparata/o.

Detto questo, ci sono moltissimi esempi e tipologie di maschilismo interiorizzato.

E’ un qualcosa che ci viene insegnato sin dal momento in cui veniamo al mondo. Ai maschi vengono trasmessi tutta una serie di stereotipi di cui comunque portano il peso per mostrare alla società di essere “veri uomini” e quindi attuare il loro privilegio maschile attraverso maschilismo, sessismo e discriminazioni.

Ma anche alle femmine viene insegnato che questi stereotipi sono gli unici comportamenti possibili e interiorizzando di conseguenza tutta una serie di meccanismi e pensieri misogini.

Prima da bambine, poi ragazze e infine da adulte si comportano seguendo la perpetrazione del sessismo o comunque attaccano le donne che non rispecchiano il loro pensiero, trattandole o come rivali o come non appartenenti al proprio “club” privilegiato di donne.

Ritengo sia molto importante parlarne e imparare a riconoscerlo. Non solo perché l’oppressione sia talmente interiorizzata, che sicuramente ogni donna almeno una volta nella vita esprime un pensiero maschilista senza rendersene conto, ma anche perché gli stereotipi portano sempre alla giustificazione dell’odio e della violenza.

Ecco alcune frasi emblematiche del maschilismo interiorizzato:

“Le vere donne sono/hanno….”

Ecco.  Questa è la più classica delle affermazioni. Donne che dicono come dovrebbe essere una “vera” donna (come si deve vestire, che corpo deve avere, come si deve comportare etc.). Tutte le volte che sento parlare di “vere” donne mi sale un brivido lungo la schiena. Come se ci fosse un manuale da rispettare per essere considerate “vere” e chi non lo rispetta allora cos’è? La frase “Sei nata femmina ma sta a te diventare donna” è sulla stessa linea d’onda. Chi è che decide cosa vuol dire essere donna? E chi decide chi è “vera” e chi non lo è?

Le vere donne sono forti, le vere donne non si arrabbiano, le vere donne hanno le curve, le vere donne sono magre, le vere donne mangiano con le mani, le vere donne mangiano composte, le vere donne non bevono birra (o la bevono perché sono ganze quanto gli uomini), le vere donne non ridono sguaiatamente, le vere donne fanno ridere, le vere donne fanno piangere, le vere donne sanno quello che un uomo vuole, le vere donne non si vendono etc. Non riusciamo a capire che tutti questi sono preconcetti dettati dalla cultura maschilista che vuole la donna in un certo modo solo per soddisfare i bisogni maschili?

Come quando ci viene detto: “Ma dov’è la tua femminilità?” Perché non ci chiediamo chi decide cos’è femminile e cosa non lo è? Sicure/i che sia qualcosa di innato?

Consiglio ASSOLUTAMENTE tutta la serie di Parità in pillole. Qui, uno dei video in merito alle “vere donne”:

 “Io non sono come le altre ragazze/donne”

Ora, è ovvio che nessuna di noi è uguale all’altra ma questa frase viene detta proprio per evidenziare che non rispecchiamo uno specifico stereotipo solitamente riferito alle donne. Tipo: “Io non sono come le altre, perché odio lo shopping/amo il calcio/non vado mai a farmi i capelli/non metto i tacchi/rutto in libertà/non piango guardando i film etc.”

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  • Lei: “E’ che, tutti i miei migliori amici sono maschi, sai?”
  • Lui: “Certo”
  • Lei: “Le donne dicono solo “oh, i miei capelli, oh, mangio solo insalata!”, e sai cosa, io non sono così!”
  • Lui: “Si, tu sei mitica”
  • Lei: “Davvero, ogni donna vivente è così!”
  • Lui: “Sei l’unica che affronta questo cammino”.

Come scrive la pagina Facebook “I meme di Unamanu” (che adoro):

“Se crei distinzione fra “ragazze per bene” (guarda caso: TU), e “ragazze per male”, l’unica cosa che hai dimostrato e’ di essere maschilista.”

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“Io ho dei valori, a differenza di quelle…”

Questa è in assoluto una delle più sessiste. Perché se andiamo ad analizzare cosa si intende con “valori”, scopriremo che sono tutti punti di vista patriarcali su come una donna dovrebbe comportarsi. Figurarsi se una donna può avere libertà sessuale esattamente come gli uomini!

Se una donna si veste poco allora si merita di essere stuprata o di essere aggredita verbalmente dagli uomini.

Questo pensiero fa parte dello slut-shaming che è strettamente collegato al victim-blaming, entrambi fenomeni della cultura dello stupro.

Qui Irene affronta il significato di slut-shaming:

Mentre qui il significato di victim blaming:

Questo invece e il video di AJ+ che trovate sottotitolato sulla nostra pagina che parla della cultura dello stupro:

Per non parlare di chi utilizza parole come troia e puttana come offesa sulle altre. L’offesa sessista per eccellenza. Figlio di gigolò non esiste. Puttano non esiste. Sono parole utilizzate esclusivamente al femminile, vi siete mai chiesti/e perché?

Analizzando i termini in sé, per prima cosa, le parole troia e puttana non dovrebbero essere utilizzate come offese. Lo sono diventate proprio perché una donna con libertà sessuale e libera di gestire il proprio corpo e la propria sessualità non è concepibile, qui nel pezzo “Fenomenologia dell’offesa troia”  trovate un esauriente riflessione.

Sono termini secolari utilizzato da uomini e donne per giudicare solo ed esclusivamente la donna e la sua “morale”. Ovviamente utilizzando un punto di vista patriarcale, come analizzato qui, nel pezzo  “Ti chiamano puttana: è un’offesa all’onore di tuo padre”.

E, come affronta questo articolo“Chi è troia alzi la mano” di Pasionaria, pensateci bene, prima o poi, in quanto donne, siamo tutte puttane. Perché, e cito:

  • Fai sesso. Non importa se con la persona con cui stai insieme da anni, se sei single e hai una libido o se quello che fai a letto sono affari tuoi. Il livello di troiaggine aumenta esponenzialmente se si tratta di performance più spinte (come quelle di cui parliamo qui) della posizione missionario (pene-in-vagina, ovviamente);
  • Rifiuti le avances di qualche maschio. Come hai potuto fargliela annusare e poi non dargliela, magari inventando scuse tipo “volevo solo essere gentile”? Sei proprio una troia (se invece ci stai, vedi il punto sopra);
  • Hai o hai avuto più partner, contemporaneamente o meno (mai sentito parlare di poliamore?). Nei film dicono che il vero amore è unico e monogamo ed è per sempre. Se non fai sesso per vero amore sei troia e cosa sia il vero amore lo decidono comunque gli altri per te;
  • Hai una relazione. Se qualche altra persona ha messo gli occhi sulla tua metà, non esiterà un attimo a darti della troia. E probabilmente anche della stupida e della cessa. Sicuramente non meriti di starci insieme e dovresti cedere il posto alla persona invidiosa di turno. Questo vale anche se la persona “contesa” prova interesse per te e tu nemmeno ricambi;
  • Sei attraente. Le donne attraenti sono subdole e approfittano sempre del proprio fascino, sicuramente lo userai per sfruttare i poveri malcapitati e ottenere favori in cambio di sesso;
  • Non sei attraente. Tanto lo sanno tutti che aprirai le gambe a tutti quelli che capitano pur di farti considerare;
  • Vesti in modo provocante. Tutto ciò che indossi è in funzione delle attenzioni che vorresti dagli uomini. Per esempio, se hai il seno grosso e indossi qualcosa di diverso da un maglione oversize a collo alto, è chiaro che stai ostentando la tua scollatura: non pensare nemmeno di giustificarti con frasi come “se ce le ho è inevitabile che si vedano”, ti sembra che quaranta gradi all’ombra siano una scusa per fare la zoccola? È logico che poi ti trattano come una vacca da monta, non lamentarti dopo essertela cercata. Le Vere Donne non indossano nulla di più emozionante di accollati e sobri abiti monacali;
  • Flirti. Non vorrai mica fare la predatrice! Devi mantenere inalterati i meccanismi della seduzione e lasciar fare ai maschi il primo passo, altrimenti va tutto a quel paese. Anche se i maschi non ti interessano e stavi sbattendo le ciglia per la loro amica;
  • Ti piacciono le donne. Si sa che le lesbiche/bisessuali/non etero sono le più troie di tutte, basta guardare i porno!
  • Fai un torto a qualcuno. Anche se hai palesemente ragione, se stavi facendo valere le tue idee senza aggressività, se stavi facendo il tuo lavoro: devi piacere a tutti, altrimenti sei troia. Qualcuno forse ti avrà detto che è impossibile piacere a tutti, ma le Vere Donne non danno retta a simili sciocchezze;
  • Hai un lavoro importante. È chiaro che hai ottenuto il posto facendo favori sessuali e non hai alcuna competenza nel tuo campo;
  • Sei femminista. Tutte queste battaglie per l’emancipazione e il diritto a una sessualità libera servono solo ad avere una scusa per darla a chiunque (non dimentichiamo che le femministe sono brutte e lesbiche!).
    …eccetera eccetera.

Io, ovviamente, alzerò sempre la mano.

“Io preferisco avere amici maschi e stare con i maschi. Le donne sono :

false/stupide/odiose/superficiali/pesanti etc.”

Anche questa frase è un classico. Presuppone che tutte le donne rispecchino chiaramente gli stereotipi legati al genere femminile. Che siano geneticamente così.

Lo stereotipo vuole che gli uomini siano più schietti e sinceri mentre le donne siano quelle che non appena ti volti ti parlano alle spalle. Oppure che gli uomini risolvano un dissidio con una stretta di mano, senza rancore, mentre le donne montino su un dramma che duri anni.

Purtroppo gli stereotipi si basano proprio sulle semplificazioni della realtà e quindi fanno “di tutta l’erba un fascio” senza pensare che ognun* di noi, a prescindere dal sesso, possa avere una propria cultura, carattere ed educazione che ci rende unici e uniche. Ogni persona è unica. Ci sono maschi melodrammatici e femmine pragmatiche, ci sono maschi falsi e femmine schiette. E viceversa. Il ridurre tutto ad un gruppo “femmine” contro “maschi” è proprio un meccanismo patriarcale. I maschi giocano alla play e le donne parlano di smalti. Può essere anche che ci siano donne che amano giocare alla play e uomini che amino parlare di shopping, senza essere meno “donne” o meno “uomini”.

“Io non sono femminista/ non ho bisogno del femminismo”

Ecco, qui di fondo c’è quasi sicuramente una mancanza della conoscenza del termine “femminismo” che per svariati motivi (soprattutto storici) viene spesso associata a qualcosa di negativo comeho affrontato già affrontato qui.  E se si pensa che sia una cosa non attuale, vi consiglio di leggere anche questo articolo SESSISMO INTERIORIZZATO: NE SOFFRONO PARECCHIE DONNE, PERCHÉ? che raccoglie alcuni esempi dei giorni nostri.

Chiara Volpato, professoressa di Psicologia Sociale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, nel suo libro Psicosociologia del maschilismoparla di neosessismo che “si esprime nella credenza che la parità tra uomo e donna sia stata ormai raggiunta e che quindi le misure di contrasto alla discriminazione siano inopportune, anzi rischino di introdurre un pregiudizio contro gli uomini”.

esempi maschilismo internalizzato

Traduzione della vignetta: “Io non sono come le altre ragazze”; “Io sto dalla parte dei ragazzi”; “Odio uscire con le femmine perché sono sempre così polemiche/drammatiche”; “Le femministe mi fanno vergognare di esser donna”

Il maschilismo interiorizzato accade anche quando le mamme che dicono alle altre mamme come si deve fare da mamma o come si deve fare da moglie, giusto un piccolo esempio (fonte:pagina Facebook Abbatto i Muri):

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O quando le donne che dicono che gli uomini non sono capaci di fare da padri, di cucinare, di pulire etc.

Signore e signori vi sembrerà strano ma non esiste un gene delle “pulizie”, del “come metto in ordine io non lo fa nessuno” o della “cucina”. Il cervello è lo stesso per tutte e per tutti, quindi siamo in grado di sviluppare le stesse capacità e di fare le stesse attività, se ci applichiamo.

“Giuro che non posso sopportare di sentire ancora una donna che sostiene di pensare come un uomo e che odia le donne perché sono tutte maligne e pettegole. Questa è misoginia. Il fatto che voi, come donne, la pensiate in modo diverso da ciò che si supponga debba essere quello di una donna socialmente stereotipata è la prova che le “norme” sociali ci hanno sovrastate: le donne non sono tutte uguali! Alcune di noi amano il calcio. Alcune di noi amano parlare al telefono. Alcune di noi sono religiose. Alcune di noi sono emotive. Alcune di noi parlano tre lingue. Alcune di noi hanno fidanzati. Alcune di noi hanno fidanzate. Alcune di noi hanno un rossetto preferito. Alcune di noi si depilano. Alcune di noi hanno bambini. Alcune di noi si preoccupano di non far cadere il bambino del nostro migliore amico. Ora per favore smettete di sostenere che le donne non si comportano come “donne”: non vinci un fiocco rosso se lo fai. Sei solo una persona misogina.”

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Le donne che credono di essere migliori di altre lo fanno soprattutto per sentirsi parte di un settore privilegiato, di far parte della dinamica del “potere”. Quando in realtà statistiche dimostrano quanto la parità ancora non sia stata raggiunta, nè a livello pubblico, nè a livello privato.

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Eppure le donne, a parità di esperienza ed educazione degli uomini,  guadagnano il 16% in meno degli uomini. E non lo dico io, lo dice qui la commissione dell’Unione Europea e  qui il Global Gender Gap Index 2015del World Economic Forum.

Il Gender Gap Index è un indice che calcola il divario di genere nei paesi basandosi su criteri economici, politici, educazione e salute.

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Come potete vedere dalla tabella, l’Italia è al  41esimo posto, tra la Colombia e le Bahamas, per quanto riguarda l’Indice globale.

E’ al 111esimo posto per quanto riguarda la partecipazione economica e le opportunità di lavoro. Al 58esimo posto per quanto riguarda il livello di educazione; al 74esimo posto per l’educazione e la sopravvivenza e al 24esimo posto per la vita politica.

Qui abbiamo recentemente parlato del GENDER PAY GAP e del Gender gap index in Europa e in Italianel 2016.

Pensate ancora che ci sia parità di genere?

Gli stereotipi di genere portano a discriminazioni che a loro volta portano alla giustificazione della violenza. I dati dell’Istat di giugno 2015 mostrano che in Italia una donna su 3 ha subito violenza nella sua vita.

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Che siano le donne stesse a non rendersene conto è solo la dimostrazione di quanto la nostra cultura sia permeata di stereotipi patriarcali che si ostinano a dividere il mondo in due.

Maschi da una parte e femmine dall’altra. In realtà ci sono moltissimi altri generi. Come è spiegato benissimo in questo articolo: “Il privilegio di essere uomini: il maschilismo raccontato dai ragazzi trans”:

“Quando un uomo cammina per la strada è improbabile che venga insultato, seguito o molestato. Quando entra in metropolitana, la sua prima preoccupazione non è quella di poter essere molestato da uno sconosciuto o di ricevere insulti per il modo in cui è vestito. Ma per le donne la faccenda è completamente diversa. La sicurezza non è qualcosa che le ragazze possano dare tanto per scontato. Le donne non hanno il privilegio di essere escluse da tutta una serie di difficili e potenzialmente pericolose esperienze della vita quotidiana. 

Perché noi viviamo, di fatto, in un mondo diviso. Da una parte gli uomini, dall’altra le donne. L’identità di genere spacca il mondo in due.”

Anche la testimonianza “Parlare di violenza di genere, senza inutili contrapposizioni”  pubblicato sul blog Al di là del Buco centra esattamente il punto:

“Nemmeno l’approccio binario mi pare condivisibile: uomini da una parte, donne dall’altra. Anzi, “i maschi di qua, le femmine di là”, come alle scuole elementari. Sono grata a chi sta condividendo la propria esperienza di uomo-non-machista, se così si può dire. Nella storia antica e nelle sue forme culturali, che studio per lavoro, ci sono molti esempi di uomini schiacciati da una logica patriarcale che non condividevano, basata sul dominio e sull’oppressione, per cui non fatico a pensare che almeno altrettanti siano coloro che oggi non la condividono e che in varia misura ne soffrono.
Proprio per questo mi fa male il livore di chi salta su al grido di “e gli uomini non soffrono? E le donne non sono anche loro violente?”. Certo che gli uomini possono soffrire, certo che le donne possono essere violente. Ma riformulerei la questione in questi termini: le persone possono soffrire. Le persone possono essere violente. Al di là del genere, dell’identità di genere, dell’orientamento. Tuttavia, il malessere di alcuni esseri umani non deve necessariamente essere messo in ombra da quello di altri. A furia di rivendicare – giustamente! – uno spazio in cui far sentire la propria voce, non dimentichiamo che non dobbiamo sentirci ed essere per forza contrapposti.”

La cultura patriarcale condiziona sia gli uomini che le donne in mille modi diversi, sempre più difficile riuscire a sviluppare un proprio pensiero in assenza di stereotipi.

L’educazione contro gli stereotipi di genere è un tabù. Le scuole non ne parlano, i media e la televisione, che ahimè son diventati i principali mezzi di comunicazione, la ostracizzano.

Per questo motivo continuerò a parlarne perché credo fermamente nel potere del pensiero critico, che deve partire in maniera consapevole e libera in ciascuna e in ciascuno di noi.

E non ci sarà parità di genere finché non capiamo e non facciamo in modo che sia cristallino il fatto che siamo prima di tutto persone, a prescindere dal sesso.

Che non apparteniamo a nessuna o a nessuno, tranne che a noi stessi/e.

Che ognuna ed ognuno di noi ha la sua peculiarità ed il suo carattere, ma che nonostante questo tutte e tutti possono essere libera di scegliere la strada che vuole per il proprio futuro.

Nessun* è superiore ad un’altra persona. Le donne che si dichiarano superiori agli uomini portano avanti del sessismo benevolo e del maschilismo interiorizzato (lo abbiamo affrontato qui), come anche le donne che si dichiarano superiori ad altre donne hanno interiorizzato il maschilismo .

Ed è importante riuscire a capire questo per abbattere ogni tipo di stereotipo e discriminazione basate su sessismo, razzismo, omofobia, bifobia, transfobia etc. Poiché derivano tutte dalla convinzione che ci siano delle persone con più diritti e più autorità di altre. L’equità per ogni etnia, orientamento sessuale (gay-lesbo-trans-bisessuale-queer etc.), identificazione di genere, classe, disabilità, religione e cultura è inscindibili nella lotta contro la non uguaglianza del sistema.

Per questo è una crescita continua il fatto di scoprire e riconoscere quanto la nostra cultura sia caratterizzata da un’ educazione patriarcale e ricca di stereotipi discriminanti (qui e anche qui trovate delle riflessioni base sul concetto dei ruoli e delle differenze di genere).

La ricerca del pensiero critico della realtà è il primo passo verso un cambiamento prima di tutto interiore e poi dello stato delle cose 🙂

PS.

E’ fondamentale capire come funziona il meccanismo dell’interiorizzazione della discriminazione, dalle nostre linee guida:

“Di razzismo/Maschilismo/Omobitransfobia (etc.) interiorizzate.

Accade spessissimo che la categoria discriminata interiorizzi la discriminazione e la base del meccanismo è la stessa.
Capita in tutte le minoranze, eccone solo alcuni esempi:
• gay che sono contrari al matrimonio egualitario o che dicono “io non approvo tutti quelli che ostentano e si mettono in mostra”;
• bisessuali che preferiscono un* partner etero perché temono che un* partner bisessuale tradisca più facilmente;
• persone trans che ignorano chi non ha un buon passing;
• donne che vogliono mantenere il loro stato subalterno all’uomo e sono contrarie alla parità di diritti economici, civili e politici con gli uomini;
• neri che sono contrari al fatto che tutte le persone nere abbiano gli stessi diritti distinguendo tra chi “se lo merita” e chi no;
• immigrati che ci tengono a distinguere gli immigrati “rispettabili e perbene” da tutto il resto un po’ come le donne che distinguono le donne “per bene” da tutte le altre che non sono loro, ovvero, “troie”;

Siamo d’accordo che una persona è molto di più del colore della pelle o del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere, ma essere neri o far parte della comunità LGBTQIA+ ti inserisce, volente o nolente, in una minoranza.
E questo vuol dire che, volente o nolente, dovrai avere a che fare con una società in cui i privilegi sono in mano alle persone bianche, etero e cisgender, agli uomini più che alle donne.
A quel punto sceglierai se rivendicare la tua appartenenza a una minoranza che ancora non ha equi diritti o se far parte della fetta di mondo con più privilegi rispetto ai tuoi, facendo il possibile per farti accettare da chi ha il potere, dividendo così la parte della minoranza “brava” e quindi accettabile dalla società dominante perché ne assimila i meccanismi, da quella “cattiva” ovvero tutto il resto.
Un esempio alla portata di tutti è Apu dei Simpsons, uno dei personaggi più razzisti del cartone, nonostante sia immigrato.
Chiamate questo meccanismo “self-hatred” (studiato soprattutto nel meccanismo del razzismo interiorizzato, ovvero interiorizzazione da parte di persone di atteggiamenti razzisti nei confronti dei membri del proprio gruppo etnico) oppure “secession of the successful” oppure “interiorizzazione della discriminazione”, fatto sta che una persona che fa parte di un gruppo discriminato sceglie di stare dalla parte del gruppo dominante che attua l’oppressione. E lo fa sostenendono e aiutandolo, facendo propri i comportamenti, le idologie, gli atteggiamenti e le strutture sociali che sono alla base del potere del gruppo dominante. Perché così facendo si sente in qualche modo accettata e facente parte del gruppo che ha il potere.
Questo è un meccanismo che esiste, ed è sempre esistito nei secoli, in qualsiasi minoranza e comunità discriminata.

È fondamentale riconoscere la relazione di potere che esiste nella società, che esistono categorie dominanti e categorie discriminate dalle stesse.
Io riconosco i miei privilegi in quanto bianca, etero e cisgender nata dal lato fortunato del pianeta, ma sono consapevole, in quanto donna, di essere ancora inferiore a livello politico, sociale ed economico rispetto ad un uomo.
Questo perché viviamo in una società dove il potere è bianco etero cisgender patriarcale. E mi fa rendere conto delle scelte quotidiane che devo affrontare per cambiare le cose. Allora scelgo di lottare per abbattere le discriminazioni e le disuguaglianze. E mi batterò finché ogni persona abbia gli stessi diritti economici e sociali, ovvero per tutte le persone che non hanno la pelle bianca, che non sono etero e che non sono cisgender.

E’ fondamentale che queste persone che interiorizzano la propria discriminazione abbiano accesso agli strumenti necessari per iniziare il proprio personalissimo percorso verso l’autodeterminazione e la consapevolezza. Viaggio del tutto personale, che nessun’altra persona può fare al posto loro. Per fare questo viaggio, semmai vorranno affrontarlo, è importante che ci siano letture, testi, strumenti che facciano stimolare il proprio pensiero critico e quindi mettere in discussione la propria posizione, il proprio ruolo, il proprio accesso al settore politico, economico e sociale della società in cui viviamo. Perché senza strumenti nessuna persona riuscirà a mettersi “gli occhiali viola”, anche se poi la scelta di affrontare o meno questo viaggio rimane sempre e comunque personale.

Detto questo, non parlerò mai al posto di queste persone che saranno libere di scegliere o non scegliere le loro lotte, ma negare la realtà non aiuterà a rendere migliore la società.

PS. Facciamo un piccolo step indietro.
Cos’è una discriminazione?
E’ un trattamento non paritario bei confronti di persone appartenenti ad un gruppo a seconda del sesso, etnia, orientamento sessuale, identità di genere è così via. Le discriminazioni (come ad esempio sessismo, razzismo ed omobitransfobia) sono molto pericolose perché portano alla giustificazione della violenza.
Cosa c’è alla base della discriminazione?
Gli stereotipi che sono meccanismi di semplificazione di realtà complesse che portano al pregiudizio (giudizio anticipato rispetto alla conoscenza del contesto complesso). I pregiudizi sono pericolosi poiché portano a discriminazioni.»

Infine, per quanto riguarda la storia della cura della prole come unico compito femminile, nel caso in cui si stia parlando di una coppia eterosessuale, ricordiamo che l’unica cosa che i padri non possono fare è allattare (a meno che non si faccia col biberon, ovvio). Il resto, nell’ambito della gestione di un/a neonato/a, sono e devono essere perfettamente in grado di farlo, così come per la cura della casa (pulire, cucinare, riordinare, spolverare etc. etc.).

Vedo post in cui si parla di mini pasti pronti da dare alle puerpere che concordo, sono una manna, ma cavolo anche il padre può preparare i mini pasti per la settimana, può badare al/alla nuovo/a arrivata mentre la mamma si concede una doccia o un riposino, mentre la mamma allatta può pulire casa, fare le lavatrici e stendere.

Questa dovrebbe essere la normalità.

La genitorialità e la cura della casa devono essere equamente condivise.

Logico che poi se dopo 6 giorni dalla nascita il padre deve tornare in ufficio, passando notti in bianco, va fuori di testa e lo stress aumenta per tutta la famiglia. È lì che lo Stato deve intervenire.

Se entrambi i genitori facessero la loro parte e venissero ovviamente aiutati dallo Stato, il problema diminuirebbe moltissimo. 

Viviamo ancora in un mondo in cui tutto il parentame e tutta la società divide i compiti della famiglia per ruoli di genere stereotipati, accollando alla madre tutta la responsabilità intorno alla gestione del neonato/neonata. Ci credo che poi una scoppia!!

Queste sono le conseguenze della cultura patriarcale che vuole l’uomo nullafacente e non autonomo e la donna l’unica responsabile della prole e della casa.

Nel caso in cui le famiglie di partenza non educhino i figli ad essere autonomi, perché la palla deve cadere in mano della compagna? Come se un marito/compagno fosse un cane da educare.

Devono essere in grado da soli, in quanto persone adulte, di rendersi autonomi.

Non sono le compagne che educano i compagni. Non sono cani da educare!

Le donne che perpetrano questa vita patriarcale hanno bisogno di strumenti per comprendere che quello che stanno portando avanti è sbagliato. Finché non hanno gli strumenti, non capirebbero comunque.

Iniziamo noi con leggere e comprendere e diamo il buon esempio alle nostre sorelle, magari condividendo anche a loro testi da leggere.

Ripeto: chi non ha gli strumenti per autodeterminarsi rimane per forza condizionato/a dagli stereotipi della società e non sempre rimane in questo condizionamento perché vuole farlo o ne è cosciente.

Se conoscete donne che portano avanti in maschilismo interiorizzato, fatele loro leggere il nostro post in merito:

https://facebook.com/photo.php?fbid=857650744446262&id=318951688316173&st=14

Cito dal post:

“…E per chi dice: “la colpa è della moglie/compagna che lo ha abituato male”. Prima di tutto, che è un cane? Cosa vuol dire “l’ha abituato male/non l’ha educato abbastanza”?? È per caso scemo? Non è in grado di autoeducarsi e di rendersi autonomo? Mi rivolgo a voi uomini: siete davvero così amebe da dipendere, una volta adulti, da un’altra persona?

In merito alle donne che perpetrano il maschilismo interiorizzato, ricordiamoci che chi non ha gli strumenti per autodeterminarsi rimane per forza condizionat* dagli stereotipi e dalle dinamiche di potere imposte dalla società e non sempre rimane in questo condizionamento perché vuole farlo o ne è cosciente.

Spesso mancano proprio gli strumenti per rendersi conto quanto noi stess* sosteniamo il patriarcato, proprio perché educat* a praticarlo.

Sì, ci sono moltissime donne che portano avanti il maschilismo interiorizzato, molto spesso anche senza accorgersene, proprio perché magari non hanno gli strumenti per farlo. Si pensi ale famose “mamme pancine”.

Condivido qui un articolo in cui due antropologhe parlano di questo preciso fenomeno:

https://d.repubblica.it/life/2017/12/05/news/chi_sono_le_mamme_pancine_significato-3779539/

Per ulteriori approfondimenti sul maschilismo interiorizzato, condivido il nostro articolo del blog:

https://unaltrogeneredirispettoblog.wordpress.com/2016/08/23/maschilismo-e-sessismo-interiorizzato/

Ripeto: chi non ha gli strumenti per autodeterminarsi rimane per forza condizionato/a dagli stereotipi della società e non sempre rimane in questo condizionamento perché vuole farlo o ne è cosciente.

Il viaggio verso l’autodereminazione è personale e si deve leggere, studiare e imparare per affrontarlo.

A cura di Giulia Terrosi

18 pensieri su “Maschilismo e sessismo interiorizzato. Una riflessione.

  1. A tal proposito ho visto un bel documentario statunitense distribuito in Italia da Netflix: si intitola “The mask you live in” ed è stato realizzato dal “The Representation Project” per parlare proprio del machismo e del maschilismo insegnati ai giovani uomini dalle istituzioni. So che lo stesso gruppo ha realizzato anche un altro documentario, sempre disponibile su Netflix, a proposito della rappresentazione della donna: “Miss Representation”, ma non l’ho ancora visto. Comunque il loro sito è http://therepresentationproject.org/, se vi interessa!

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    1. Grazie mille per il suggerimento! Avevamo condiviso sulla pagina fb tempo fa il trailer di “The mask you live in”, andrebbe fatto vedere nelle scuole secondo me! Conosciamo molto bene The Representation Project, il loro video promo è stato il nostro primo video sottotitolato! Lo trovi sia sulla nostra pagina fb: https://www.facebook.com/UnAltroGenereDiRispetto/videos/441378712740136/
      Sia in fondo all’articolo che ho scritto tempo fa: https://unaltrogeneredirispettoblog.wordpress.com/2016/01/28/aiuto-arriva-il-gender/
      In ogni caso grazie ancora, ogni suggerimento è super gradito! 🙂 G.

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      1. Di niente! Grazie a voi per quello che fate 🙂 Penso anch’io che documentari come quello andrebbero proiettati nelle scuole, italiane in primis.

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