Evento culturale “Non Med: percorsi transgender non medicalizzati”

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Domenica 8 aprile 2018 ho partecipato all’evento culturale “Non Med: percorsi transgender non medicalizzati” e ringrazio Nathan Bonnì per avermi invitata. Ritengo sia un tema fondamentale nel percorso dell’abbattimento di ogni discriminazione verso il raggiungimento di pari diritti e pari dignità per ogni persona e che quindi debba avere la massima diffusione. Per questo ci tengo a scrivere questo pezzo con gli interventi che sono stati fatti all’evento, sperando se ne parli sempre di più.

Modera la dottoressa Monica Romano (tra le altre cose autrice del libro “Diurna”,  “Storie di Ragazze XY”, ne abbiamo parlato nel blog qui, e del libro “Gender (r)evolution”):

Sono molto contenta di essere qui, in questo luogo che nasce come “Circolo culturale TBGL Harvey Milk Milano” e che a causa della prematura e improvvisa scomparsa, nel gennaio 2017, dello storico vicepresidente Alessandro Rizzo Lari, si è deciso di dedicare Alessandro il Circolo, conosciuto quindi col nome Circolo Culturale TBIGL+ Alessandro Rizzo Lari (Ex Harvey Milk).

Questo è il primo evento italiano dedicato alla comunità delle persone transgender non medicalizzate. Ricordiamo che il termine transgender è un termine ombrello che raccoglie tutte le identità ed espressioni di genere possibili. Storicamente la comunità transgender è sempre stata divisa tra trans operate e trans non operate, rifacendosi sempre alla norma sociale. E anche nella comunità transgender c’è una sorta di esclusione delle persone transgender non medicalizzate perché esistono moltissime persone transgender che ritengono che la realtà t non medicalizzata sia una realtà che non merita attenzione e che non merita cittadinanza. Mi fa piacere dire invece che noi dobbiamo combattere questo tipo di visione e di mentalità. Perché la parola “Transgender” ha un senso politico e appartiene a noi tutti indipendentemente alle scelte che abbiamo operato in merito ai nostri corpi e al nostro percorso di autodeterminazione.

Per cui continuiamo come facciamo da sempre a metterci in discussione e a mettere in discussione quelle logiche che ci dividono e facciamolo con molta umiltà.

Io per prima, conoscendo Nathan Bonnì, frequentandolo come amico, vivendolo come attivista negli ultimi cinque anni ho imparato tantissime cose che prima non sapevo. Mi sono confrontata con una realtà che è diversa dalla mia, siamo entrambe persone Transgender ma operiamo delle scelte differenti e le viviamo nel mondo e nella società. Questo a me ha insegnato tanto e mi ha portato a rivedere tante convinzioni.

Detto questo vado a presentare i relatori.

La dottoressa Laura Caruso componente del direttivo del circolo Alessandro Rizzo Lari e attivista.

Il dottor Nathan Bonnì, presidente onorario del circolo Alessandro Rizzo Lari e autore del primo blog italiano, aperto nel 2009, sui percorsi transgender non canonici: Progetto Genderqueer.

L’avvocato Gianmarco Negri, attivista, importante figura di riferimento nel mondo dell’attivismo LGBT milanese e legale di riferimento per tante persone Trans a Milano e in Lombardia.

Prende parola il Dottor Nathan Bonnì:

LUI LEI

Ho iniziato la presentazione partendo da due immagini, disegnate dal nostro grafico Sam, una persona non med che ha saputo interpretare ciò che è venuto fuori dal brainstorming che abbiamo fatto io, lui e Laura, sull’immagine che potesse rappresentare quest’evento. Siamo partiti dalle tematiche più importanti che riguardano le persone “non med” e che sono strettamente connesse:  il “passing” e il “misgendering”.

Nella copertina dell’evento, quindi, si vedono due figure le quali vengono appellate in modi errati e abbiamo barrato le parole errate, lasciando non barrate le parole corrette.

Chi sono le persone transgender non med?

Abbiamo pensato di introdurre il tema con una parte didattica in cui esamineremo alcuni stereotipi sulle persone non med: per spiegare cosa sono le persone non med bisogna partire da cosa “non” sono.

  1. La confusione tra i ragazzi FtM (Female to Male) non med e le lesbiche butch.

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Potrebbero avere esteticamente degli elementi comuni perché un ragazzo non medicalizzato ha delle caratteristiche estetiche tipiche del sesso biologico di partenza e potrebbe apparire simile ad una lesbica butch. E’ però importante fare una distinzione tra l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Così come le persone cisgender (non transgender) possono avere un qualsiasi orientamento erotico/affettivo, così avviene anche per le persone Transgender. Si può cadere nell’errore solo per somiglianza fisica, perché una lesbica butch è una donna omosessuale (Nota: ne ho parlato nel blog qui) mentre un ragazzo T non medicalizzato potrebbe avere qualsiasi orientamento sessuale, ma comunque non è una donna e non è quindi una lesbica.

  1. La distinzione tra non med e non binary.

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Una persona non med potrebbe essere non binary. Ma esistono persone non binary che sono medicalizzate. Ed esistono anche persone non med con identità di genere binariamente corrispondenti con “uomo” o “donna”. Non binary riguarda le sfumature delle identità di genere, mentre non medicalizzato riguarda il cambiamento che la persona decide di apportare o meno sul proprio corpo.

  1. Le persone non med sono soprattutto le persone FTM

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Questo anche perché la TOS (terapia ormonale sostitutiva) su persone FtM ha degli effetti molto “potenti” e si riconosce subito un FtM che non è medicalizzato, per la voce e per l’aspetto. Ci sono tante donne MtF (Male to Female) non medicalizzate. E anche nella storia ci sono tante donne non med.

Ora che abbiamo capito cos’è un transgender non med vedendo cosa non è, adesso volevo affrontare il secondo punto: perché non è importante il perché.

La persona non med, che deve già fronteggiare una serie di problemi pratici legati alla vita quotidiana, si sente porre spesso la domanda “perché”. Perché sei non med? Perché non fai la transizione medicalizzata?

Io rispondo in un modo filosofico: perché mi stai chiedendo il perché? Nel senso che ho la sensazione che tutto ciò che non sia “naturalizzato” fa sì che l’altra persona pensi di poter chiedere il perché. Oggi non si chiede più a una persona gay perché è gay oppure a una persona trans medicalizzata perché stia facendo il percorso.

Essere non med è uno dei tanti percorsi, la persona non va stressata sul perché, ognuno avrà i suoi motivi che sono i più disparati.

L’ultima premessa sull’evento è il fatto che limiteremo questo evento al percorso non med, non per discriminare, ma perché ovviamente ci sono stati già molti eventi su altri tipi di percorsi. Non dimentichiamo però alcune condizioni che sono intersezionali al percorso non med, parlo per esempio delle persone FtM che hanno fatto una parziale medicalizzazione ricostruendo il petto con forme maschili, ma non sono in TOS e quindi hanno difficoltà sociali che sono simili alla persona totalmente non med.

Misgendering e Passing

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Spesso, ma non sempre, il misgendering è legato al passing.

Passing: la possibilità, per una persona gender non conforming, di apparire, a chi non la conosce, come appartenenti al proprio genere d’elezione (genere in cui la persona Transgender si riconosce).

Misgendering: l’appellare una persona transgender considerando il suo sesso biologico, ignorando la sua identità di genere.

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Quando si parla di misgendering si devono fare distinzioni importanti:

Misgendering involontario: Ovvero c’è la persona non med che ha un cattivo passing e può capitare che il panettiere o il salumiere si rivolgano alla persona col genere percepito anche a causa dei riferimenti culturali e sociali e del binarismo.

Un altro tipo di questo misgendering è quello di quando la persona non med ha fatto coming out, ma nonostante tutto l’interlocutore/trice dice di “non farcela” in quanto distratta dal genere apparente, ovvero dal sesso biologico. Queste persone “dicono” di essere “in buona fede”.

Misgendering cattivo: quando si sbaglia deliberatamente il genere della persona transgender per motivi politici (femministe transescludenti, omosessuali binari, integralisti religiosi, etc.).

Prende parola la Dottoressa Laura Caruso:

Istintivamente verrebbe da dire che quello cattivo sia peggio, ma in realtà non è così. Perché se il misgendering cattivo è deliberat, il misgendering in buona fede invece ci disarma. Perché di fronte a una persona che ci dice “scusami ma io non ce la faccio”, sei tentato di dire “eh va be poverina, non ce la fa”. Ma la risposta dovrebbe essere “Faccela!”. Cosa vuol dire non ce la faccio? Dietro c’è anche la mancanza del senso di accoglimento dell’autodeterminazione altrui, se io ti dico chi sono, e tu nonostante questo non fai lo sforzo di rispettare la mia autodeterminazione allora è un problema. Non siamo noi che dobbiamo aiutare a “farcela”. In realtà una persona Trans ha già tante cose di cui occuparsi, anche cose molto pratiche, avrebbe lei bisogno di aiuto, se questo aiuto non arriva, amen, ma non si deve mettere certo la persona Trans ad aiutare gli altri.

Nathan:

Effettivamente anche grazie alla visibilità delle donne T, oggi una donna T non medicalizzata oppure medicalizzata con un cattivo passing, viene comunque riconosciuta come donna T, anche dall’omofobo, dal transfobo e dal bigotto (che magari si esprime contro di lei, ma “comprende” che quella è una persona transgender).

La direzione FtM ha un grande svantaggio perché si può essere percepiti in solo due modi: o come giovanissimi maschi biologici o come donne. E quando si viene percepiti come donne, si tratta di donne “non conformi” (lesbiche, trasandate, non abbastanza conformi al desiderio dell’uomo eterosessuale), che quindi disturbano e sono vittime di bullismo. Nessuno, vedendo una persona XX che esce di casa col panciotto, la cravatta e il cilindro, la “penserebbe” come un uomo trans FtM. Questo perché un immaginario sugli FtM non esiste, e la comunità FtM si deve interrogarsi del perché è così.

Un altro elemento (di per sé meraviglioso) che interviene “non aiutando” l’FtM non medicalizzato è l’emancipazione, anche nel vestiario, che la donna ha ottenuto, e che rende poco distinguibile una donna “emancipata”, che ama vestirsi da uomo o unisex, da un FtM.

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Laura:

E’ bene sgombrare il campo da una sorta di pregiudizio. Si ritiene che il percorso di transizione assistito dalla medicalizzazione porti dei risultati concreti e che questo sia il modo per raggiungere il punto per cui il misgendering non ci sia più, ma nella realtà non è così. Oggi il misgendering si verifica quando manca il passing.

Io non sono in TOS da giugno del 2012 e mi definisco non med, non ho subito alcun intervento chirurgico, tuttavia solo per buona sorte gli altri mi individuano come una signora. E’ meraviglioso, però mostra che non è la medicalizzazione che porta all’assenza di misgendering. Una persona Trans che ha seguito tutto l’iter canonico medicalizzato terapia, interventi e documenti viene comunque “misgenderata”. Faccio l’esempio di una donna Trans che ha fatto tutto il percorso, ed è donna per lo stato, donna per il fisco, etc, può capitare che questa donna per motivi che sono puramente estetici, non venga riconosciuta come donna.

Quindi il vero punto è: ma gli altri in base a che cosa attribuiscono il nostro genere? In base a quello che vedono. Questo è orribile. Noi stiamo dicendo che il rispetto che dobbiamo a una persona è legato alle sue caratteristiche fisiche. E a questo tema potremmo agganciare dei temi che non c’entrano nulla con le persone Transgender, potremo far confluire la discriminazione che subiscono le persone per motivi etnici o per la loro disabilità. Quindi le persone vengono riconosciute o non vengono riconosciute in base alle loro caratteristiche fisiche.

Se noi riflettiamo su questo, c’è un bel percorso da fare. Sia per le persone Trans che per le persone non Trans. Per le persone che non sono Transgender è più facile perché questa cosa viene affrontata in maniera ancora più sterile senza tutto il peso e il carico dell’appartenenza a una minoranza che subisce discriminazioni e che ha dei diritti negati. Ma anche all’interno della comunità Trans perché spesso ci sono delle differenze che vengono fatte sulla base di una scala che è legata a raggiungere un certo aspetto, un certo passing, nel rinnegare l’esistenza di un certo percorso e questa è una cosa molto pericolosa. Il percorso di transizione non è un ruolino di marcia dove c’è scritto: “chiama il Niguarda, assumi questo ormone, fai il laser, fai l’intervento chirurgico, fai il cambio di documenti etc.” il percorso di transizione non è un meccanismo che ha un inizio e che ha una fine. Questo è un tema cruciale. Se noi smontiamo l’idea che noi dobbiamo rivolgerci a una persona sulla base dell’aspetto che ha, noi abbiamo fatto un enorme passo avanti proprio dal punto di vista della società.

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Nathan:

Non è vero che i non med hanno sempre un cattivo passing, ma per quanto riguarda gli uomini T va fatta una premessa: ci sono dei ragazzi FtM giovani che, effettivamente, hanno un buon passing e le persone si rivolgono a loro al maschile. C’è da dire che questi ragazzi non passano come “uomini”, ma come adolescenti. Effettivamente dopo i 30 anni, di solito, non si riesce più a passare. Per una persona di 30 anni che lavora, non è conveniente essere scambiati per un adolescente. La questione passing ha una grande importanza perché in base a come la persona viene riconosciuta dalla società la persona vive degli stati di sofferenza.

Carriera e professione:

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Dopo l’adolescenza e aver finito gli studi il tema lavoro è importante per tutti. In particolar modo per la persona non medicalizzata, che, non essendo in un percorso medico-legale non può fare leva, col datore di lavoro, sull’attesa di cambiamenti fisici. La persona med fa coming out col datore di lavoro dicendo che il corpo, da quel momento, cambierà velocemente e questo può essere un grande incentivo per il datore di lavoro a sostenere il percorso, anche se non è scontato. La persona non med non ha neanche questo. Ci sono delle persone che hanno ottenuto qualcosa, come l’email col solo cognome, il badge senza nome, i buoni pasto senza nome, ma tutto sta alla benevolenza del capo. Nel senso che in realtà i responsabili non si sentono tenuti da qualcosa a rispettare la persona non med: la danno come una concessione.

Per quanto riguarda il lavoro da freelance, devo dire che io mi trovo in questa situazione al momento, e la vivo anche un po’ come un esperimento: sto cercando di promuovermi con un brand “genderless” (senza genere). Per me non sarebbe una scelta vincente usare il genere per promuovere la mia immagine. Però rimangono tante problematiche come quella della firma, degli ordini professionali che riportano i dati anagrafici, le ricevute. C’è sempre il momento in cui i dati anagrafici vengono fuori.

Laura:

La posizione professionale di chi ha un’attività professionale autonoma apparentemente sembra essere più agevolato, ma in realtà c’è una completa mancanza di potere. Il professionista non ha alcuna garanzia perché basta che non venga rinnovato alcun incarico e finisce tutto.

Questo è quello che è successo a me qualche anno fa, il mio percorso è stato un percorso diciamo standard. Rispetto ai miei committenti le cose sono andate bene da quando è finito quel momento in cui la presenza che io portavo nel mio ambito professionale ha smesso di essere una presenza ambigua. Fin quando il mio aspetto era quello di un uomo qualsiasi tutto ok, quando il mio aspetto ha iniziato ad essere ambiguo io ho perso qualsiasi incarico di una professione che è stata avviata nel 1990, e vi sto parlando del 2010/2011, 20 anni di carriera professionale. Le cose sono tornate ad andare bene però sempre per quel motivo orribile: quando sono diventata una signora per bene allora tutto è stato possibile. Ho fatto formazioni dove i committenti finali hanno chiesto alla regione di farmi firmare  i registri  solo col cognome, di fare dispense col nome Laura Caruso che non esiste per nessun organismo ufficiale. Lavoro per alcune banche che richiedono di avere un account per ciascun professionista e ho account con laura.caruso con due domini di banche internazionali, questo solo perché all’aspetto somiglio a una signora. A me viene concessa questa cosa, a un’altra persona no.

Esistono delle buone prassi (nota: potere trovare qui l’opuscolo Transgendersmo: buone prassi nei luoghi di lavoro.da scaricare e distribuire in ogni luogo di lavoro, in ogni scrivania e qui è scaricabile Transgendersmo e lavoro che trasmette consigli importanti per affrontare la propria transgendertà nel mondo del lavoro) e stasera ci sono delle persone che fanno parte del Coordinamento Attivisti Transgender Lombardia che sono Antonia Monopoli e Gabriele Dario Belli e siamo tutti e sei qui. Antonia ha lavorato da anni su queste buone prassi, che sono diffuse ma rimangono buone prassi.

Questo vuol dire che la banca o qualsiasi datore di lavoro può rifiutare di mettere il proprio nome di elezione (nome che la persona Transgender sceglie), perché delle buone prassi non interessa nulla. Antonia Monopoli è un riferimento, tuttavia abbiamo bisogno di strumenti più ufficiali ed è triste pensare che queste questioni che riguardano i diritti debbano passare attraverso un approccio normativo, perché diventa qualcosa di obbligatorio al quale la società si deve adeguare. Io che sono una sognatrice penso invece che sarebbe fantastico cambiare la società prima perché poi possa cambiare l’approccio normativo.

A quel punto le norme cambiano in relazione a come la società è cambiata, è un processo che in realtà ha delle interdipendenze molto forti ma oggi ci ritroviamo in un circolo vizioso per cui noi non possiamo avere dei diritti riconosciuti e vorremmo avere nuove norme le quali necessitano però delle spinte che provengono dalla società intera.

Salute e sanità

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Le persone non medicalizzate non hanno diritto neppure a documenti conformi al loro genere di elezione che spesso è il genere all’interno del quale vivono tutta la vita, relazioni professionali, amicali, familiari e sociali ma questo non viene riconosciuto dal punto di vista anagrafico. Nel momento in cui io mi devo relazionare con chi fornisce dei servizi che dovrebbero essere forniti a tutti i cittadini, devo necessariamente occuparmi di questa questione. Questa diventa una cosa così pesante che spesso ci fa rinunciare anche ad andare al Pronto Soccorso. Aggiungere al dolore fisico anche il disagio di doversi presentare di fronte a qualcuno che ti riconosce come appartenente a un genere a che poi leggendo i documenti anagrafici ti si rivolge in un altro modo, crea molto disagio. Quando ci si rapporta con le strutture pubbliche poi ci sono medici che si rivolgono a te col genere che rappresenti, fino a quando non leggono i tuoi documenti anagrafici e allora cambiano genere. Tutto sta alla discrezione del medico o della medica a cui ci rivolgiamo. E spesso è legato alla scelta di rivolgersi al professionista privato. Ma chi non può farlo, perché deve essere obbligato a sentirsi chiamare col genere con cui non si riconosce, come fa allora ad evitare questa discriminazione?

Un altro aspetto di disagio è legato alle visite che riguardano le condizioni biologiche di partenza e questo problema non viene risolto neanche dalla legge italiana attuale che, cambiando “sesso” sui documenti, rende difficoltoso, anche ai transgender med, avere a che fare col genere biologico di partenza, come per esempio una visita ginecologica per un FtM o una visita andrologica per una MtF, è complicato sin dalla richiesta di impegnativa.

Avvocato Gianmarco Negri:

Il meccanismo nazionale e gli specialisti non prevedono il caso di una persona che cambia i documenti e che ha un buon passing, ma non ha gli organi genitali ricostruiti. Vi sono ospedali che addirittura rifiutano di visitare queste persone. Una persona FtM che deve ancora rivolgersi alla ginecologa passa le pene dell’inferno. Il problema della visita andrologica o ginecologica è un problema forte ed è dovuto alla mancanza di preparazione da parte di chi dovrebbe essere preparato.

Velatismo

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Nathan:

La parola “velato” esiste già da tempo nell’ambiente omosessuale, nell’ambiente T esistono due tipi di velatismo:

Il velatismo della persona che vive come appartenente al sesso biologico.

E il velatismo che riguarda le persone che cambiano i documenti e vivono come se il genere d’elezione fosse il proprio sesso biologico, che si chiamano anche “Stealth”, quindi nascoste (nota: per un approfondimento sul velatismo vi consiglio questo articolo di Progetto Genderqueer, “Percorsi non medicalizzati: coming out, velatismo, esposizione sociale”).

Col punto “circolo vizioso al 100%” si intende dire che molte persone non med sono velate poiché effettivamente è una condizione molto difficile da vivere per tutto quello che riguarda il passing e il misgenderin. Però se molte persone sono velate, il fenomeno non emerge quindi non si sviluppa una sensibilità, non ci si abitua e non si crea un immaginario, quindi molte persone non med rimangono velate.

Abbiamo individuato due modalità:

La prima è il velatismo 100%: persona che noi chiamiamo “on/off”, una vita in cui il proprio genere d’elezione viene espresso in un ambiente protetto e poi invece c’è una vita familiare e professionale in cui si vive come aderenti sesso biologico di nascita.

La seconda è quella del funambolismo, perché non sempre i non med sono velati. Spesso quando si parla di persone che non prendono ormoni vengono sminuite nell’ambiente trans.

Funambolismo

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Sono le persone che si dividono in due vite: pizzetto testa rasata la mattina e trucco e parrucco la sera.

Il non med equilibrista a lavoro è conosciuto (esclusi, magari, i colleghi con cui si sente più a suo agio e con cui si è confidato/a)  col nome anagrafico ma gli amici , gli affetti, il/la partner, lo conoscono col suo nome scelto.

Social network: il profilo social che uso come professionista cambia rispetto al mio profilo social privato. Purtroppo alcuni social networks non vedono di buon occhio chi ha due profili o ne ha uno con dati non corrispondenti a quelli anagrafici e inizia un “calvario” di chiusure e riaperture dei profili che passa un’immagine della persona come poco affidabile o poco raccomandabile.

Immagine professionale: ecco perché il brand “genderless”, per cercare di promuoversi come professionista senza promuovere il genere, per aiutare la persona che da quell’aspetto è , suo malgrado, ambigua.

Look: tante persone non med vorrebbero osare di più col look ma poi tutta la serie di aspettative sociali che lo impediscono, vanno a cercare un punto intermedio, un compromesso per non sembrare persone poco trasparenti e chiare.

Equilibrismo verbale: c’è tutto uno sforzo di imparare il genere neutro e farlo imparare alle persone che ci circondano. Come ad esempio sono “felice”, non contento/a. Inventi tutto un modo di esprimerti.

Il funambolismo richiede energie, che vengono tolte alla famiglia e ai tuoi interessi personali.

  Cambiare “nome” VS rettificazione nome e genere

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In alcuni stati c’è la “piccola” e la “grande” soluzione.

La grande soluzione riguarda i casi med con i percorsi canonici, mentre ci possono essere non binary preferiscono la piccola soluzione. Quello che è importante è che dev’essere un’opzione e che comunque la persona non med e/o la persona non binary possano accedere anche al cambio di genere, oltre che semplicemente al cambio nome.

Ci sono molte persone non med e non binary che preferiscono avere solo il cambio di nome senza il cambio di sesso, con un nome “neutro” come Celeste, Andrea, Rosario, Dylan, Fiore, Logan etc. che già può migliorare la vita quotidiana perché se sei in un albo professionale non appare il tuo nome assegnato alla nascita, nei documenti che devi firmare nemmeno, e così via. Con la piccola soluzione il sesso nei documenti anagrafici e codici fiscali rimarrebbe quello biologico.

In Italia il semplice cambio nome, per persone con tematiche di genere, non c’è.

Per quanto riguarda il cambio di sesso, in Italia c’è una grande lacuna, la persona che cambia sesso per la legge italiana è come se fosse o maschio o femmina. Quindi la persona che mantiene i propri genitali biologici subisce gravissime discriminazioni. Se un trans FtM va a farsi una visita ginecologica, subisce anche situazioni spiacevoli di discriminazione e marginalizzazione, perché per la legge italiana dovrebbe ricevere solo la visita andrologica. Il medico curante non può inserire la visita ginecologica nel pc perché al suo (nuovo) sesso anagrafico corrisponde alla visita andrologica.

Questo è un bug della legge attuale, e ci sono tanti trans che hanno bisogno del ginecologo e tante trans che hanno bisogno dell’andrologo. Da questo punto di vista una persona che fa il semplice cambio nome non avrebbe questo problema se scegliesse un nome ambiguo come Andrea, giocandosi poi il coming out volta per volta a seconda del contesto e dell’apertura mentale della persona con cui si relaziona, medico, cliente, impiegato delle poste, datore di lavoro che sia.

Il cambio nome può essere d’aiuto ad una persona non binary o una persona trans che non passa sempre, per aver un nome più neutro per poi poter decidere con chi esprimersi e con chi no.

Se mando il curriculum posso chiedere di rivolgersi a me al maschile, se poi sono alle poste o in altri posti pubblici posso anche non esprimermi. Avere un nome ambiguo mi da la possibilità di giocare il mio coming out come preferisco.

Mentre altre persone farebbero subito anche il cambio nome e genere.

In Italia dovrebbe essere possibile sia solo il cambio nome sia il cambio nome e genere. Purtroppo però in Italia oggi il cambio nome lo puoi fare solo da MtM e da FtF, ovvero, puoi chiedere un nome del genere relativo al tuo sesso biologico.

Laura:

Esistono due possibilità:

La prima amministrativa, senza tribunali, prevista dal riordino dello stato civile di inizio nuovo millennio. Chi abbia un cognome vergognoso o che faccia risalire alle origini naturali può chiedere di cambiare nome. Ad esempio, “Culino Rosa”, “Pippo Riina”.

In realtà ci sono altri spazi oltre questi casi espressamente previsti, ma l’esito è incerto.

La persona T non med potrebbe giovarsi quanto meno di un nome ufficiale che non richiama il proprio genere, ad esempio un nome neutro, come Fiore, Logan, Leslie, ecc.

Il secondo modo è legato alla Legge 164 del 14 aprile 1982, ed è un procedimento che modifica sia il nome sia il genere che anagraficamente rileva, pensate per esempio al codice fiscale costruito differentemente in base al genere, o alle indicazioni che nei nuovi documenti, carta di identità e patente, sono presenti con M o F.

Nel periodo in cui io avevo già un aspetto femminile ma professionalmente mi dichiaravo uomo, le persone individuavano in me una donna, tuttavia io esibivo i miei documenti e dovevano chiamarmi al maschile.

Nathan:

In molti club etero e circoli ludici sono tesserato come Nathan e loro, non sapendo che io sia trans, una volta che leggono il mio nome maschile, si rivolgono a me al maschile. Non importa se loro pensano che io sia o meno “altro”, le persone si adeguano al documento, avendo magari, dentro di sè, delle domande sul mio aspetto, ma non avendo, di fatto, il coraggio o l’occasione di porle.

La legge non guarda il bene della persona, ma il bene della società. L’aspetto della persona è cambiato talmente tanto che riesce a rassicurare la società sul suo aspetto.

Cambiare il nome senza passing, si può?

Ci sono dei professionisti che nonostante il loro aspetto ambiguo, vengono rispettati. Sicuramente dipende anche dalla tua autorevolezza, il fatto che si venga percepiti/e come una persona garbata e seria, fa si che poi tutti lo/a rispettino.

Dal momento in cui i non med cambiano nome, possono abbandonare il funambolismo.

Il circolo virtuoso: migliori il tuo passing, hai il riconoscimento legale e la tua vita migliora. Il fatto che sempre più persone non med cambino nome anche senza passing, fa sì che la cosa diventerà normale e più diventerà normale più persone usciranno. Finché manca l’immaginario, mancherà il riconoscimento. Come con le donne trans, le persone che sono pioniere pagheranno più lo sconto, ma poi la società cambierà.

 

Aspetti legali

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Gianmarco:

Porto in oggetto una breve panoramica su casi virtuosi all’estero, ad opera della ricerca dell’avvocato Marco D’Aloi, di percorsi di riconoscimento dell’identità di genere, mettendo in risalto il fatto che in quei paesi è sufficiente una dichiarazione di volontà e non occorre alcun percorso chirurgico, medico, e nemmeno l’assunzione di ormoni.

CASO ARGENTINA

Approvata il 05/07/2012 la rivoluzionaria legge sull’identità di genere prevede, all’art. 3, che “chiunque possa chiedere la correzione della registrazione di sesso, e il cambiamento del nome e della propria immagine se non coincide con l’auto-percepita identità di genere

E’ sufficiente presentare all’Ufficio Anagrafe o a loro funzionari, una richiesta (con riferimento alla legge) in cui si richiede la sostituzione della registrazione del certificato di nascita con i nuovi dati per l’identità nazionale, indicando il nuovo nome scelto per la registrazione.

In nessun caso potrà essere richiesto un intervento chirurgico di riassegnazione totale o parziale, o pretendere terapie ormonali o trattamento psicologico o medico.

Unico requisito: la maggiore età 18. Tuttavia, l’ art. 5, prevede l’applicabilità di tale procedura ai minori di 18 anni, su istanza dei genitori e/o rappresenti legali, previo consenso del bambino o adolescente, tenendo conto della progressiva capacità e intendimento dello stesso così come disposto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo;  il minore deve essere assistito da un avvocato.

In mancanza di consenso dei rappresentanti legali del minore, sarà comunque possibile ricorrere al giudizio abbreviato del tribunale per i minori, tenendo conto dei principi di capacità progressiva e di interesse del bambino/a.

Il funzionario pubblico, senza alcuna formalità giudiziaria o amministrativa, notifica la rettifica del sesso e cambio di nome per l’anagrafe della giurisdizione dove è situato il certificato di nascita e stabilisce di procedere ad emetterne un nuovo conforme ai cambiamenti, ed emettere un nuovo documento di identità nazionale che rifletta la corretta registrazione del sesso e del nuovo nome di battesimo.

E’ vietato ogni riferimento alla presente legge nel certificato di nascita e ogni riferimento al cambiamento dei dati nel documento d’identità.

La procedura per la registrazione di rettifica è gratuita, personale e non richiede l’intermediazione di qualsiasi gestore o avvocato (salvo i casi in cui l’interessato sia minorenne).

La corretta registrazione ai sensi della presente legge, una volta eseguita, può essere ulteriormente modificata solo con autorizzazione del giudice.

Hanno accesso al solo certificato di nascita chi ha dato l’autorizzazione originaria che e il titolare o altri solo dietro motivato ordine scritto dal tribunale.

 CASO DANIMARCA

In vigore da settembre 2014 la legge sull’identità di genere consente il cambio di sesso all’anagrafe sulla base di una semplice autocertificazione, senza lunghissimi iter medici, burocratici e giudiziari.

Non è più necessario alcun intervento medico e/o sterilizzazione chirurgica, né la diagnosi di disforia di genere o altro esame psicologico: è prevista solo una breve terapia di supporto, di circa 6 mesi, successiva alla richiesta.

E’ sufficiente presentare una domanda che dovrà essere confermata, appunto, dopo 6 mesi. La previsione di un secondo step di conferma ha la sua ratio nel consentire all’interessato di meglio riflettere sulla sua scelta, anche con il supporto di psicologi che comunque non hanno alcun potere in merito alla eventuale volontà di conferma.

Unico limite il raggiungimento della maggiore età.

Il cambio di genere non incide sul matrimonio già contratto

CASO MALTA – Legge XI del 14/04/2015

In vigore dal 14/04/2015 (approvata all’unanimità), la nuova legislazione sull’identità di genere permette di cambiare sesso con un semplice atto notarile, senza ricorrere alla chirurgia.

In particolare consente ad ogni cittadino maltese o persona abitualmente residente a Malta, se maggiorenne, di cambiare il proprio genere (non necessariamente con un altro genere ma anche con un genere X o “nessun genere”) con una mera dichiarazione resa dinanzi ad un Notaio. Non è dunque necessaria – a norma dell’art.3 – alcuna prova che la persona si sia sottoposta a “procedura di totale o parziale riassegnazione chirurgica dei genitali, terapie ormonali o qualsiasi altro trattamento psichiatrico, psicologico o medico”, perché il diritto alla identità di genere è rimesso esclusivamente all’autodeterminazione personale.

Il notaio dopo aver spiegato al richiedente interessato le implicazioni giuridiche di tale cambiamento, redige un atto pubblico che contiene l’atto di nascita, la dichiarazione chiara ed inequivocabile di voler cambiare il genere, l’indicazione del nuovo genere e il nuovo nome e, entro quindici giorni, provvede alla registrazione dell’atto nei Pubblici Registri

Nel caso in cui il soggetto interessato sia un minore spetta ai genitori (o al tutore) farne domanda alla autorità giudiziaria, la quale, “nella misura del possibile”, dovrà tenere conto della opinione del minore sì da rispettarne l’interesse prevalente.

E’ fatto poi divieto assoluto ai medici di sottoporre a qualsiasi trattamento di riassegnazione del sesso il minore che non sia in grado di prestare il consenso, a meno che non ricorrano “circostanze eccezionali” per cui il trattamento può essere deciso da un team interdisciplinare nominato dal Ministero di comune accordo con i genitori o con il tutore.

Nessun limite alle volte in cui la persona potrà, nel corso della propria vita, cambiare genere ai fini anagrafici.

Il legislatore ha, inoltre, precisato che il cambiamento di genere non ha alcuna incidenza sui diritti e gli obblighi derivanti dalla genitorialità, dal matrimonio e da successioni ereditarie. I matrimoni rimangono perfettamente validi e il genitore continua ad essere tale, venendo meno così i pericoli che qualche tribunale ponga divieti di frequentazione dei figli da parte di chi ha “modificato” il proprio genere.

 CASO IRLANDA

Preannunciata subito dopo il successo del referendum sul matrimonio egalitario ed in vigore dal mese di maggio 2015, la legge prevede la possibilità di cambiare sesso all’anagrafe mediante un iter burocratico semplificato, attivabile con una semplice dichiarazione di volontà dell’interessato, senza necessità di interventi chirurgici, terapie ormonali o esami psicologici/psichiatrici.

Il cambio sesso è consentito anche a chi ha compiuto solo 16 anni, previa pronuncia del tribunale.

Anche in questo paese il cambio di sesso non implica il venir meno del vincolo matrimoniale.

Si sta inoltre già discutendo su un progetto di legge per il riconoscimento, sui documenti ufficiali, delle identità di genere non binarie

 CASO NORVEGIA

In vigore dal mese dal 1 luglio 2016 la nuova legge sull’identità di genere consente alle persone transgender di chiedere legalmente il cambio di sesso con la compilazione di un semplice modulo

La nuova legge prevede che questa procedura sia aperta a tutti i cittadini di età superiore ai 16 anni senza il consenso di alcun familiare e la possibilità, peri bambini che hanno già compiuto sei anni, previo consenso di almeno uno dei genitori.

Vi prego adesso di fare un “gioco” di immaginazione e di pensare ai Giudici come se fossero seduti qui tra noi perché numerosi sono i passi che vi leggerò, contenuti nelle sentenze, per rendervi partecipi di come viene interpretata la legge.

Vi chiedo altresì di fare uno sforzo e di immaginare che ogni volta in cui leggerò “trattamenti chirurgici” stia ricomprendendo anche i “trattamenti ormonali” per ipotizzare insieme una nuova interpretazione del diritto.

La normativa prevista dall’ordinamento italiano esprimeva la tutela dell’interesse statuale volto a dare certezza sul genere maschile o femminile di un soggetto vale a dire un interesse preminente che portava l’esclusione di qualsivoglia forma di bilanciamento con gli interessi delle persone interessate.

La prima importante sentenza interpretativa della legge 164 del 1982  risale al 1985. È una sentenza che, ancora oggi, dai Giudici di merito viene richiamata perché sancisce un principio fondamentale espresso in questi termini: “la legge numero 164 1982 si colloca nell’ambito di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomali”. Risulta evidente come quindi la stessa Corte avesse richiamato la necessità che la legge fosse interpretata nel senso del riconoscimento dell’identità di genere in una civiltà giuridica in continua evoluzione dal punto di vista scientifico culturale ed etico e quindi, più in generale, alle scelte concernenti il genere e la sfera dell’identità personale.

Come è noto la legge era stata promulgata per rispondere alle esigenze del tempo in cui fu introdotta. All’epoca l’orientamento dominante credeva che la stessa si innestasse sulla volontà della persona transgender di sottoporsi ad intervento chirurgico demolitorio/ricostruttivo suggellato dal desiderio invincibile di ottenere il riconoscimento anche giuridico dell’appartenenza all’altro sesso.

Tuttavia, il dato normativo, non ha mai specificato quali interventi la persona dovesse realizzare per vedere riconosciuta la propria identità di genere. L’articolo 1 in modo molto generico specifica solo che la rettificazione avviene in forza di sentenza passata in giudicato a seguito di “intervenute modificazioni dei caratteri sessuali”. Nessuno ha mai specificato di quali caratteri sessuali si stesse parlando, se primari o secondari, chi dovesse decidere quando intervenire sugli stessi, se fosse necessario una modificazione coattiva ed a quali modificazioni si stesse facendo riferimento.

Se si va ad analizzare la legge del 1982, ma anche l’articolo 31 del decreto legislativo 150 del 2011, che ne ha riscritta buona parte abrogando numerosi articoli della originaria legge, ci si accorge immediatamente come non ci sia un iter delineato ed un procedimento giuridico prefigurato e strutturato.

Ciò che sembra però abbastanza evidente è che la legge non metteva in discussione il binomio maschio o femmina infatti chi voleva rettificare il genere riconfermava in qualche modo l’ordine diventando maschio o femmina.. il passaggio era obbligato: ovvero una transizione da maschio a femmina oppure vi era una transizione da femmina a maschio.

Con il trascorrere degli anni si è però determinata una grande evoluzione, da un lato il numero delle persone transgender non è più modesto (come ai tempi della promulgazione della legge), ma vede coinvolte sempre un numero maggiore di persone, dall’altro, accanto alla persona che vuole o desidera un’immagine completamente aderente al genere che percepisce opposto a quello di nascita, si accostano ora altre realtà di cui non possiamo più ignorare la presenza e che meritano tutela anche in ambito giudiziario.

Abbiamo infatti nella società persone che decidono di vivere in una dimensione transitoria tra i due generi, senza una destinazione finale, ed anche persone che hanno una tale forza percettiva del proprio genere che non necessitano di vederlo rispecchiato esteriormente tramite trasformazioni chimiche e che quindi, sentendosi completamente a proprio agio nella propria dimensione, non desiderano sottoporsi ad alcun trattamento ormonale.

Questa situazione chiaramente è ben diversa da quella delle persone che non possono sottoporsi ai trattamenti ormonali, della quale si è occupata anche la giurisprudenza riconoscendo come, in quel caso, non potesse essere disconosciuta l’identità pure in assenza di percorsi di terapia sostitutiva. In quel caso le sentenze non riconoscono però il principio puro volontaristico e dell’autodeterminazione ma semplicemente evidenziano nell’ostacolo (quasi sempre di natura biologica) una causa di giustificazione ad un riconoscimento che, viceversa, parrebbe impossibile nella società attuale.

Il tema centrale dunque non è più solo quello della persona che per adeguare il proprio corpo alla psiche accetta il compromesso del trattamento medico chirurgico, imposto dall’interpretazione della legge del 1982, ma anche quello della modifica del genere e del nome della persona che reclama il proprio diritto ad essere riconosciuto nel genere intimamente percepito a prescindere dalla preliminare sottoposizione al trattamento medico di cui non sente assolutamente il reale bisogno.

La sensazione, almeno per quanto può essere la mia di interpretazione, e che in qualche modo il legislatore abbia lasciato un ampio margine nella prospettiva che lo stesso venisse poi ridisegnato sulla base delle istanze delle persone transgender. Questa mia convinzione è suffragata proprio da quella primissima interpretazione della Corte Costituzionale a cui ho fatto cenno che però, per tantissimi anni, pare sia rimasta quasi lettera muta.

Vorrei tornare velocemente su un altro principio che viene spesso richiamato, ma in termini ancora deboli, rispetto alle esigenze delle persone transgender, proprio da quella sentenza, il passo è questo “presupposto della normativa impugnata è dunque la concezione del sesso come dato complesso della personalità determinato da un insieme di fattori dei quali deve essere agevolato o ricercato l’equilibrio privilegiando, poiché la differenza tra i due sessi non è qualitativa ma quantitativa, i fattori dominanti”. Pensiamoci bene, nel 1985 il sesso era stato considerato come un dato della personalità…non “il” dato MA “UN” DATO..

A me questo fa subito pensare ad un altro elemento essenziale della stessa che porterò nelle aule perché fondamentale proprio per il riconoscimento dell’identità delle persone non medicalizzate ovvero il “ruolo di genere” sul quale però tornerò dopo perché prima vorrei spiegare un altro ostacolo che si frappone alla possibilità di riconoscimento di identità di genere al di fuori di qualsiasi percorso medicalizzato.

Se da un lato, dall’esame congiunto delle due norme, quella del 1982 ed il decreto legislativo 150 2011 emerge sul piano testuale la possibilità di escludere la presenza di limitazioni normative preventive al riconoscimento del diritto all’identità di genere, dall’altro lato l’interpretazione delle stesse ha prodotto un vero e proprio limite. Infatti, ciò che è accaduto, è che le persone che sentono di appartenere ad un genere diverso da quello attribuito alla nascita sono state per lunghi anni costrette a fare qualcosa che non era richiesto da nessuna parte in termini quanto meno espliciti. Mi riferisco quindi agli interventi chirurgici, di cui però non parliamo oggi se non per ricavarne massime utili, ed anche ai trattamenti ormonali: nessuno si sarebbe mai sognato in questo mezzo secolo di andare a chiedere ad un Giudice che gli venisse riconosciuta l’identità di genere percepita in assenza di un percorso ormonale.

Eppure questa è la nuova battaglia che ci attende insieme ad una legge che escluda l’iter giuridico che al momento vedo molto lontana per i motivi che illustrerò e, non a caso, il disegno di legge che semplificava l’iter per il riconoscimento giuridico è rimasto in fase progettuale (D.L. 405).

Abbiamo assistito in questi ultimi anni a pronunce della Corte di Cassazione ma anche della Corte Costituzionale che si sono occupate della necessità o meno dell’intervento chirurgico e, a mio avviso, ciò che è contenuto in quelle sentenze può essere utilizzato come trampolino di lancio verso un qualche cosa di più ampio: il DIRITTO ALLA NON MEDICALIZZAZIONE!

La più importante sentenza che si è occupata, per escluderlo, della necessità di interventi è la numero 15138 del 2015 che ha stabilito che l’intervento chirurgico rivolto all’adeguamento dei caratteri sessuali non rappresenta una condizione necessaria per la rettificazione di attribuzione di sesso, ponendo in tal modo ordinamento italiano soltanto in parte in linea con l’evoluzione riscontrabile in Europa, poiché la Corte ritiene comunque indispensabili trattamenti estetici relativi ai caratteri sessuali secondari da realizzare anche mediante interventi chirurgici. Nella sentenza citata, la Corte di Cassazione si è posta il problema di stabilire se un minimo di elementi oggettivi di avvicinamento all’altro sesso fosse indispensabile e sulla base del principio di proporzionalità ha cercato di trovare un punto di equilibrio.

Vi starete chiedendo la proporzionalità rispetto a che cosa visto e considerato che stiamo parlando di una persona che non è in conflitto con altre persone ma che sta semplicemente chiedendo il riconoscimento di un qualche cosa che riguarda essa soltanto. In verità, il riconoscimento del genere psichico di un essere umano, a quanto pare non è qualche cosa che riguarda solo la persona ma, a detta della giurisprudenza, l’intera collettività con la quale la stessa si relaziona ed infatti nella sentenza della Corte di Cassazione si è cercato di realizzare un bilanciamento di interessi tra quelli della persona e quello di natura pubblicistica alla chiarezza nella identificazione dei generi sessuali e delle relazioni giuridiche. In tal modo la Corte di Cassazione è arrivata ad affermare che non si può costringere la persona a sottoporsi ad interventi chirurgici di modifica dei caratteri sessuali primari ma si possono pretendere trattamenti medici di adattamento dei caratteri sessuali secondari.

Sempre nel 2015 anche la Corte Costituzionale con la sentenza 221 si è occupata di interventi chirurgici ed ha affermato che è compito dell’interprete definire il perimetro delle modificazioni sessuali e le modalità con cui realizzarli e soprattutto che la scelta di sottoporsi a modificazioni, in questo caso chirurgiche, dei caratteri sessuali non può che essere il risultato di un processo di autodeterminazione come pure che il ricorso alla chirurgia costituisce uno dei possibili percorsi volti all’adeguamento dell’immagine esteriore alla propria identità personale. Anche in questa sentenza, pur tenendo conto dell’importante prevalenza della tua tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, che “porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, come possibile mezzo funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico”, si avverte la mancanza di una chiara affermazione della sufficienza, ai fini dell’accoglimento della richiesta di mutamento di sesso, di convincimento della persona di appartenere al sesso diverso da quello risultante dall’atto di nascita.

Conferma una visione del fenomeno parziale poiché è limitata all’aspetto fisico e non in linea con l’evoluzione riscontrabile in molti paesi, ai quali ho fatto cenno, nei quali viene attribuita decisiva rilevanza unicamente all’aspetto soggettivo.

Uno dei passaggi a mio avviso interpretabile ai fini della possibilità di completare un procedimento di riconoscimento di genere non medicalizzato, nella sentenza del 2015, ve lo riporto testualmente “il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico.”

Ma se è l’interessato a decidere se e quali interventi affrontare, per quale motivo non dovrebbe essere libero di decidere se sottoporsi o meno a trattamenti ormonali?

A oggi abbiamo pertanto una sentenza della Corte di Cassazione che ritiene che l’acquisizione “di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non postula la necessità dell’intervento chirurgico purché la serietà univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale”. Dello stesso anno un’altra importante sentenza, della Corte Costituzionale, che chiaramente ci dice che: “il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere fisico e psichico della persona (…) La prevalenza della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico sesso anagrafico porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico“.

Momenti quindi di mediata apertura che hanno già destato sospetti e preoccupazioni e lo dimostra il giudizio di legittimità sollevato dal tribunale ordinario di Avezzano secondo il quale nelle sentenze citate è mancata la dovuta attenzione all’aspetto relazionale essendo stata trascurata la valutazione dell’entità delle modificazioni ritenute necessarie e la rilevanza degli effetti di questa impostazione sulla collettività. Vi riporto alcuni passaggi scritti nell’ordinanza che sono a dir poco allarmanti: “si osserva che la vita di relazione conterrebbe numerose occasioni di contatto delle quali rilevano anche caratteri sessuali primari della persona e, in ciascuna di esse ricorrerebbe l’esigenza di stabilirne con sicurezza il genere al fine di evitare che alcuno, a fortiori se minorenne, possa essere disorientato in ordine all’identità di genere del mutato di sesso. Che viceversa la dove l’elemento documentale prevalesse su quello fisico, la società non sarebbe più fondata sul duopolio uomo donna ma su un numero indeterminato di generi; si verificherebbe una promiscuità fondata sul dato cartonare, in danno della maggioranza dei cittadini, la quale, essendo ancorata ad altri valori, sarebbe costretta ad elaborare regole di comportamento certamente molto lontani dalla tradizione secolare. Che pertanto ad avviso del remittente, non sarebbe sufficiente un mutamento dei caratteri secondari dovendosi attribuire rilievo anche i caratteri sessuali primari la scelta meramente personalistica del proprio orientamento sessuale ( qui addirittura confondiamo identità di genere con orientamento sessuale) costituirebbe un aspetto sicuramente degno di considerazione, ma dovrebbe essere valutata alla luce di regole di analogo rilievo costituzionale, che devono essere bilanciati con criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Si porrebbe un problema di tutela delle maggioranze ed una questione di parità di trattamento al contrario, si dovrebbe, infatti, rendere compatibile la situazione di coloro che abbiano ottenuto la rettifica anagrafica senza intervento chirurgico con il diritto degli altri consociati a ricevere servizi differenziati in ragione della propria appartenenza ad un sesso. Sarebbe privo di fondamento costituzionale l’adeguamento che la società sarebbe chiamata a compiere al fine di consentire l’integrale esplicazione del diritto in esame”.

Ebbene la Corte Costituzionale con ordinanza numero n. 185 del 13/7/2017 dopo aver dichiarato che le osservazioni del Giudice non tengono conto dei principi affermati dalle decisioni richiamate, che hanno indicato interpretazioni rispettose dei valori costituzionali così come già individuati in quella sentenza dell’85 richiamata all’inizio, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale affermando che la realizzazione del diritto “del singolo al riconoscimento del proprio diritto all’identità personale, di cui è parte l’identità di genere, trova la sua realizzazione attraverso un procedimento giudiziale che garantisce, al contempo, sia il diritto del singolo individuo, sia quelle esigenze pubblicistiche di certezza delle relazioni giuridiche sulle quali si fonda il rilievo dei registri anagrafici. È, che sebbene l’aspirazione del singolo alla corrispondenza del sesso attribuitogli nei registri anagrafici con quello soggettivamente percepito e vissuto costituisca espressione del diritto al riconoscimento dell’identità di genere, il ragionevole punto di equilibrio tra le molteplici istanze di garanzia è stato individuato affidando al giudice, nell’ambito di un giudizio cui partecipa anche il pubblico ministero, l’accertamento delle modalità attraverso le quali le modificazioni siano intervenute, tenendo conto di tutte le componenti compresi i caratteri sessuali che concorrono a determinare l’identità personale e di genere”.

Risulta pertanto escluso che possa avere rilievo il solo elemento volontaristico però afferma la Corte: “la denunciata imposizione di un onere di adeguamento da parte della collettività non costituisce affatto una violazione dei doveri inderogabili di solidarietà ma anzi ne riafferma la perdurante generale valenza, la quale si manifesta proprio nell’accettazione e nella tutela di situazioni di diversità, anche minoritari ed anomale”.

Ma se è vero che lo Stato deve tutelare anche le situazioni minoritarie e marginali allora dovrebbe essere altrettanto vero che il principio di proporzionalità, visto e considerato il preminente diritto alla salute, dovrebbe cedere il passo di fronte anche soltanto ad un essere umano che richieda un riconoscimento sul principio dell’autodeterminazione; anche perché, se è vero che la persona può scegliere il percorso medico chirurgico, che più aderisce alle proprie necessità, allora deve essere anche lasciata libera di scegliere di non sottoporvisi e non solo di avere la possibilità del riconoscimento anagrafico quando la terapia ormonale gli è interdetta per motivi di salute.

Il trattamento ormonale, a mio avviso, diventa altrimenti, al pari di un trattamento chirurgico, una vera e propria costrizione dell’identità personale e una lesione del diritto alla salute, tanto più che ad oggi non ci sono ancora studi certi sulle conseguenze della terapia ormonale sostitutiva. Qui non mi dilungo perché dovrei aprire tutto il capitolo sulle carenze di natura sanitaria ma che dovrebbero essere portate proprio alla luce da parte di chi ritiene di avere il diritto di essere sé stesso senza domandare ad un farmaco che quella identità diventi tale anche per uno Stato rispetto al quale, per quanto riguarda la certezza delle relazioni giuridiche, di certo non le va ad appurare guardando negli slip della persona ma in una dimensione ben diversa che è quella di come la stessa persona si relaziona e si presenta al prossimo NEL SUO, eccolo finalmente in tutta la sua importanza, RUOLO DI GENERE.

Ognuno nella sua dimensione, esprime un ruolo di genere e questo viene percepito dalla società in termini più o meno maschili o più o meno femminili, a prescindere da cosa c’è scritto nella nostra carta d’identità. Ritengo che proprio la lealtà nei rapporti giuridici potrebbe essere il perno per convincere il Giudice che è anche nell’interesse dello Stato che la persona abbia documenti conformi al ruolo avvertito ed esplicitato anche con l’abbigliamento, i pronomi usati ed il modo in cui è riconosciuto nella società.

Altro elemento che ritengo importante per chi volesse intraprendere una richiesta avanti ad un Tribunale, in assenza di terapia ormonale, con lettura a contrario, è quello che attiene alla definitività del procedimento di transizione che, in realtà, non è mai definitivo.

Oggi, e devo dire per fortuna, abbiamo la possibilità di ottenere un documento senza gli interventi ricostruttivi ebbene nessun Giudice sa se poi la persona deciderà nel futuro di fare o meno quell’intervento, nessun Giudice sa se noi saremo costretti a sospendere la terapia ormonale oppure a rallentarla… Non si può pretendere che il percorso di una persona transgender possa dirsi “definitivo” perché sarebbe come immaginare che si debba arrivare ad un punto oltre il quale la persona non potrà più crescere né dal punto di vista della fisicità e nemmeno, cosa ancora più importante, da quello della sua psiche.

Concludo con uno spiraglio ampio di positività e Vi leggo un passo di una sentenza che ho ottenuto proprio dal nostro Tribunale di Milano in data 14/03/2018 in applicazione dell’articolo 2 Cost., nell’alveo dei diritti inviolabili della persona va ricondotto sia il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, da ritenersi fattore di estrinsecazione della personalità che gli altri membri della collettività sono tenuti a riconoscere per dovere di dare solidarietà sociale, sia il diritto alla libertà sessuale, poiché, essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto. Nel medesimo alveo costituzionale deve essere ricondotto il diritto all’identità di genere, da declinarsi nel senso che ogni persona ha diritto di scegliere la propria identità sessuale, femminile maschile, a prescindere dal dato biologico”.

La persona è in costante evoluzione e deve esserlo anche il diritto all’identità di genere della persona transgender così come già saggiamente affermato 33 anni fa.

Spetta a noi il dovere di rendere il diritto accogliente rispetto alle nostre istanze.

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Ringrazio Nathan Bonnì, Laura Caruso, Gianmarco Negri per avermi concesso i loro  interventi e Marco d’Aloi per la sua ricerca.

Non posso che essere d’accordo con Gianmarco, ora spetta a noi il compito di far evolvere questa società.

A cura di Giulia Terrosi

Un pensiero su “Evento culturale “Non Med: percorsi transgender non medicalizzati”

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