I tipi di violenza contro le donne

Quando si parla di violenza contro le donne si tende ad immaginare esclusivamente la violenza fisica, in realtà ci sono molti altri tipi di violenza e dovrebbe essere affrontata  ogni giorno, tutto l’anno e non solo nelle date comandate, come l’8 marzo (ne abbiamo parlato qui) o il 25 novembre (ne abbiamo parlato qui).

Adiamo a vedere quali sono le definizioni di “violenza contro le donne”.

La Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne (1993), dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite dice che:

“E’ la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna,  che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro,E ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne.”

L’Art. 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul – 2011):

E’ una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata.

Ora abbiamo detto che la violenza non è solo fisica. Vediamo quali altri tipi di violenza, oltre a quella fisica, ci possono essere:

  • Violenza psicologica;
  • Violenza economica;
  • Violenza sessuale;
  • Molestie (ne abbiamo parlato nello specifico qui);
  • Stalking;
  • Mobbing

Partiamo dalla violenza psicologica.

E’ la violenza più subdola e pericolosa, proprio perché invisibile, porta danni spesso permanenti.

Consiste in una serie di atteggiamenti, gesti, parole e discorsi volti direttamente a denigrare l’altra persona e il suo modo di essere.

Ha lo scopo di rendere la persona insicura, per poterla controllare e sottomettere.

Come si manifesta:

Controllo sistematico e costante:

  • “Dove stai andando?”
  • “Chi stai chiamando?”
  • “Cosa stai facendo?”

Gelosia e molestie assillanti:

  • “Tu non vai da nessuna parte!”;
  • “Chi è questo tuo amico su fb?? Hai una storia con lui??”;
  • “Ho visto come l’hai guardato!!”
  • “Guarda come ti vesti! Sei proprio una puttana!”

Umiliazioni, critiche avvilenti volte a minare l’autostima della persona, a mostrarle che è priva di valore:

  • “Guarda cos’hai fatto!”;
  • “ Scusatela, mia moglie è una deficiente!” : umiliazioni pubbliche;
  • “Non capisci nulla!”;
  • “Ma come ti sei conciata??”
  • “Togliti quel rossetto!”
  • “Ti vesti da schifo”
  • “Truccati di più sei sciatta!”/”Struccati che sembri una puttana!”
  • Sei grassa! (magra, brutta, ecc..)”
  • “Non vali niente!”
  • “Non sei una buona madre!”
  • “Stai zitta!”
  • “Non combini mai nulla di buono”

Minacce:

  • “se mi lasci non troverai nessuno che ti amerà come me!”
  • “se te ne vai mi ammazzo!”: La minaccia di suicidio costituisce una violenza di estrema gravità perché porta il partner a sentirsi responsabile delle azioni dell’altro e a dover restare immobile per il timore delle conseguenze di qualsiasi sua scelta.

Costante messa in discussione delle percezioni della vittima (gaslighting):

“sei sicura di avermelo detto? Te lo sei sognata!”

Un immagine di Chayn Italia che ne parla:

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Per ulteriori informazioni sul gaslighting consiglio l’articolo “Gaslighting, una forma di violenza psicologica – Rapporti interpersonali“.

Controllo e isolamento imposto (strategia per mantenere il potere):

  • “stasera non vai da nessuna parte”;
  • “Tu non esci”
  • “Dammi il telefono!”
  • “Decido io chi invitare in casa”;
  • “non guardare più questo programma/questo libro non lo devi leggere!”;
  • “ Le tue amiche sono insignificanti, proprio come te!”
  • “Non vai da tua madre”
  • “Non vai in palestra”
  • “Non chiamare quella stupida tua madre/sorella/amica!”

Limitazioni all’indipendenza economica:

  • “Non importa che lavori, ci penso io!” : se la donna non è indipendente avrà più difficoltà a lasciare l’abusante.
  • “Io lavoro, tu pensi ai figli”

Silenzi punitivi se contraddetti o delusi;

Atti intimidatori: urla, offese, sbattere le porte, lanciare o rompere oggetti, prendere a pungi il muro, maltrattare gli animali domestici o i figli ecc

Insistenza per avere rapporti sessuali:

  • “Ti amo troppo non posso resistere”;
  • “E’ tuo dovere soddisfarmi, che c’è mi hai tradito??”

Falsi Pentimenti! (Nel ciclo della violenza si chiamano “Luna di miele”):

  • “Scusami amore mio, non lo faccio più”
  • “Scusami amore, sei la cosa più importante al mondo per me”
  • “Ti amo troppo”
  • “Sono pazzo di te!”

Minimizzazione della violenza e la colpevolizzazione della donna:

  • “Hai finito di piangerti addosso?”
  • “Mi porti all’esasperazione!”;
  • “Se avessi fatto come ti avevo detto!”;
  • “Sei stupida!!”
  •  “Ho avuto un attacco di rabbia” etc

Si tratta di una violenza sistematica e costante distrugge la vittima e la rende succube psicologicamente al maltrattante.

La violenza fisica

La violenza fisica riguarda tutti gli atti lesivi dell’integrità fisica della persona, dalle percosse, alle lesioni, al femminicidio.

  • Percosse;
  • Pizzicotti;
  • Spintoni;
  • Tirate Di Capelli;
  • Lesioni;
  • Sputi;
  • Morsi;
  • Calci;
  • Pugni;
  • Schiaffi
  • Immobilizzazione;
  • Bruciature;
  • Tagli;
  • Fratture;
  • Strangolamento;
  • Privazione di cure mediche e/o del sonno, ecc.

La violenza fisica ha un ciclo, il famoso “ciclo della violenza”:

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La fase di tensione è costante, le donne vittime di violenza la descrivono come “camminare su vetri di cristallo”, basta anche una posata messa un po’ storta o anche solo uno sguardo a far scattare la violenza.

Le donne vittime di violenza hanno serie conseguenze psicologiche, per approfondimenti: Ripercussioni psicologiche della violenza domestica sulle donne.

Importante: prima di colpevolizzare la vittima di violenza, studiamo cos’è il ciclo della violenza e capiamo quali sono le basi.

E cito qui un pezzo delle linee guida di della rete Di.re contro la violenza (che potete trovare qui) :

Il ciclo della violenza

La violenza nelle relazioni di intimità tende a manifestarsi in forma ciclica. Spesso il ciclo della violenza comincia con il fidanzamento quando la coppia condivide certe premesse sui ruoli maschile e femminile tradizionali. Dall’inizio la caratteristica del loro rapporto è la non reciprocità, è un rapporto asimmetrico. Entrambi sono legati emotivamente, si trovano bene insieme e pensano che lei sarà la perfetta compagna. Dopo un po’ di tempo le cose cominciano a funzionare male, un problema economico, una gravidanza, le gelosie o, magari, motivi futili, danno il via prima alla violenza di tipo psicologico e poi alla violenza fisica.

La donna viene come “anestetizzata” da questa ripetitività e dalla mancanza di risposte esterne, che conferiscono una sorta di “normalità” alla violenza che subisce, inducendola a sottostimarne gravità e pericolo.

L’intero ciclo della violenza può completarsi in poche ore o in un anno intero e può ripetersi moltissime volte all’interno di una relazione. Interromperlo senza un aiuto esperto è molto difficile. Come abbiamo già visto in molti casi questo processo evolve in una spirale in cui fasi di “riconciliazione” si alternano a fasi di violenza.

Gli effetti sulla salute della donna sono devastanti.

Le intimidazioni avvengono attraverso la coercizione, il controllo economico,leminacce,ilterrore disubireaggressionifisicheedil ricatto.

L’isolamento è determinato dal continuo tentativo dell’uomo di limitare la donna, i contatti con la propria rete parentale e amicale, la possibilità di coltivare hobby o altri interessi. L’isolamento può passare anche attraverso l’impedimento alla donna di lavorare al fine di escluderla dal contesto sociale lavorativo. In questo modo la donna perde i punti di riferimento e di confronto sociali, familiari e l’autonomia economica.

Chi usa violenza svalorizza ogni attività della donna. L’obiettivo è privarla dell’autostima per renderla insicura e maggiormente controllabile. Seguono distruzione di oggetti e altri beni della donna, atti intimidatori non solo rivolti a lei direttamente, ma anche indirettamente, ad esempio verso animali o persone a lei care.

In completa solitudine aumenta per la donna l’ incapacità di vedere vie di uscita e di cambiare la sua situazione. La donna vive in uno stato di reclusione e isolamento affettivo; infatti tutti gli aspetti della sua vita possono finire sotto controllo: posta, telefonate, sottrazione dei documenti. Si può attivare in tali casi una vera e propria segregazione, cioè una forma di ulteriore isolamento per negare alla donna la sua autodeterminazione.

Quando la donna inizia a ribellarsi e cerca di uscire dalla violenza l’abusante l’aggredisce fisicamente. Lo fa per ristabilire lo status quo, incuterle terrore e impedirle di reagire o di andarsene.

La fase della falsa riappacificazione costituisce il rinforzo positivo che spinge la donna a restare all’interno della relazione violenta e in qualche modo soddisfa (soprattutto all’inizio) un suo bisogno di riabilitazione (Serra 1999).

Man mano che il tempo passa questa fase è sempre più breve, la donna diventa sempre più dipendente e l’uomo ha sempre più potere.

Segue in genere il ricatto sui figli. Il partner minaccia la propria compagna di toglierle i figli se decide di lasciarlo. Per sostenere questa affermazione e usarla come reale minaccia, il partner fa affidamento sulla non conoscenza – da parte della donna dei propri diritti – e sulla mancanza di confronto con altre persone e consulenti legali che potrebbero invece rassicurarla in merito ai figli e al loro affidamento.

PRIMA FASE – Accumulo della tensione

E’ il primo momento della violenza psicologica, lui è irritato e quando lei cerca di chiedergli cosa succede lui nega, magari l’accusa d’essere “troppo sensibile”, lei si chiede in che cosa sta sbagliando, ha una percezione della realtà distorta, è confusa, cerca di accontentare il suo aggressore evitando di contraddirlo e assecondando ogni sua decisione. Lui si allontana emozionalmente da lei e lei ha paura di essere abbandonata.

La violenza psicologica tipica della prima fase del ciclo della violenza contribuisce alla riduzione del livello d’autostima e delle sicurezze della donna ed alla creazione di sentimenti di vulnerabilità e di sensi di colpa:

per aver avuto condotte che lei considera negative: dire bugie, coprire l’aggressore, avere rapporti sessuali indesiderati, non riuscire ad avere un rapporto sereno con i figli, ecc.;

  • derivati da alcuni comportamenti da alcuni comportamenti sia assertivi sia di contrasto alla violenza ma che non sono bastati per fermarla: non starsene zitta, non essere stata accondiscendente alle richieste del marito/compagno, ecc.
  • Sensi di colpa derivati dal proprio temperamento: per il suo modo di essere, per essere “stupida”, “poco attraente”, “provocante”, ecc.

SECONDA FASE: ESPLOSIONE DELLA VIOLENZA

Inaspettatamente di scatena la violenza fisica che destabilizza, confonde e terrorizza la donna.

Nella fase precedente la donna ha già cercato di fermare la violenza, ma ogni sforzo si è dimostrato inutile e ai sensi di colpa si aggiunge ora anche un grande senso d’impotenza e una costante e indicibile paura per la stessa sopravvivenza.

La difficoltà di proteggere anche i/le figli/e, che il più delle volte sono dei testimoni silenziosi, incrementa i sensi di colpa, di vergogna e di fallimento nello svolgere il proprio ruolo familiare e sociale.

TERZA FASE: LUNA DI MIELE O FALSA RAPPACIFICAZIONE

E’ sempre l’uomo che decide quando inizia e quando finisce questa fase. Nei primi episodi è caratterizzata da pentimenti e richieste di perdono con promesse di cambiamento e rinnovate dichiarazioni d’amore. Man mano che passa il tempo questa fase è sempre più breve, la donna diventa sempre più dipendente e l’uomo ha sempre più potere. Questa fase costituisce il rinforzo positivo che spinge la donna a restare all’interno della relazione violenta e in qualche modo soddisfa (soprattutto all’inizio) un suo bisogno di riabilitazione (Serra 1999). Passata l’esplosione della violenza, il momento della falsa riappacificazione lenisce un po’ le ferite, ma una volta instaurato il ciclo, i periodi di calma si trasformano in un’attesa silenziosa caratterizzata da uno stato di continua allerta. Quando ogni promessa viene nuovamente disattesa e la tensione comincia ad aumentare, si attivano nella donna le paure dell’abbandono e del rifiuto.

ATTENZIONE

Il meccanismo della negazione della violenza è centrale nel mantenimento del ciclo. La tattica dell’uomo violento per mantenere la relazione consiste nel razionalizzare e giustificare il suo comportamento (“Non ti ho detto questo! Come al solito non hai capito!) In questo modo la violenza viene ridefinita ad ogni episodio creando confusione su quello che è accettabile e quello che non lo è.

Minimizzare significa per esempio dire: “Io non l’ho picchiata, le ho dato soltanto uno spintone”. Minimizzando il danno si colpevolizza anche la donna: “Stai sempre esagerando, di qualsiasi cosa fai un dramma”.

Giustificare: “era diventata isterica, l’ho fatto per fermarla”

PERCHÈ LA VITTIMA NON LASCIA IL MALTRATTANTE?

Chi viene a conoscenza nel giro dei propri amici o conoscenti o per compiti professionali dell’esistenza di una relazione violenta si chiede come sia possibile che si possa restare nella relazione per anni ed anni.

Innanzi tutto la donna deve vincere mille paure, lui le dice continuamente che, se rompe la relazione, le succederanno cose terribili; in qualsiasi posto andrà lui la troverà sempre; potrebbe far del male ai bambini, ne otterrà l’affidamento, non darà mai il mantenimento.

Una volta superati i vincoli personali conseguenti al percepirsi quale vittima di violenza e risolte le paure di affrontare l’uscita dalla relazione violenta, gli ostacoli oggettivi e di contesto che la donna deve affrontare sono ancora molteplici: l’isolamento, la dipendenza economica, la mancanza di vere opportunità di sostegno, l’assenza di una rete di relazioni e di luoghi deputati all’accoglienza, al confronto, alla tutela. Inoltre, quando una donna decide di lasciare il partner violento la situazione tende a diventare più pericolosa perché, aumenta la frequenza e la gravità degli episodi violenti e si moltiplica il rischio di essere uccisa come testimonia la cronaca degli ultimi anni.

Manca una rete integrata di servizi in grado di garantire tempestivamente la protezione della donna e dei suoi figli, mancano case protette, canali privilegiati di accesso al mercato del lavoro e immobiliare, mancano ancora competenze specialistiche diffuse che consentano l’individuazione della violenza nelle relazioni di intimità e la possibilità di stabilire un contatto efficace con la donna.

Vanno segnalati anche gli ostacoli spesso presenti nelle procedure e nell’approccio degli operatori/trici e nei professionisti/e che – per motivi diversi – incontrano le donne: la scarsa conoscenza del fenomeno, delle dinamiche e della sua diffusione, la convinzione radicata che la violenza nelle relazioni di intimità sia un “fatto privato” e non un reato, la presenza di preconcetti sulla corresponsabilità della donna nella violenza, il pensare di non avere le competenze o di non essere nel ruolo per poter fornire aiuto, non avere il tempo necessario per indagare la situazione o attivare l’aiuto, l’avere paura di doversi confrontare con il maltrattatore, il volere “la prova” che la donna stia subendo violenza, il sentirsi inadeguati a raccogliere una testimonianza di violenza subita, il non saper/voler affrontare le proprie emozioni e quelle della donna, la scarsa conoscenza degli altri servizi e del supporto che possono offrire.

È IMPORTANTE EVITARE LA RE-VITTIMIZZAZIONE

Le donne che mantengono il segreto sono bloccate dalla paura di non essere credute, di essere accusate e colpevolizzate, hanno scarsa fiducia nel sostegno esterno, anche istituzionale, come risultato di esperienze negative pregresse e di quella che viene definita la ri-vittimizzazione. Pertanto è importante evitare di:

  • domandare alla donna cosa ha fatto per provocare la violenza
  • giudicare le sue scelte e le sue azioni
  • minimizzare la situazione di pericolo che la donna racconta
  • sollecitare la donna a prendere delle scelte, ad esempio, indurla a lasciare il marito, denunciarlo, ecc.
  • assumere atteggiamenti giudicanti perché attaccano la fiducia della donna e aumentano le condizioni del suo isolamento. A volte, la voglia e/o la necessità dell’operatore/operatrice di rispondere nell’immediato possono interferire con la capacità di ascolto.

 

La violenza economica

La violenza economica consiste in ogni forma di controllo e limitazione che impedisca alla donna di essere economicamente autonoma.

  • controllo delle spese personali della donna o spese famigliari;
  • privazione e/o controllo del salario e/o del proprio denaro personale o di famiglia;
  • impedimento ricerca o mantenimento lavoro;
  • impegni economici/legali imposti/ottenuti con inganno;
  • abbandono economico;
  • estorsione di denaro;
  • mancata corresponsione del denaro per piccole spese;
  • utilizzo improprio ed eccessivo del denaro famigliare, ecc.

La violenza sessuale

La violenza sessuale consiste in ogni forma di imposizione e di coinvolgimento in attività sessuali non desiderate anche all’interno della coppia.

  • richiesta di atti sessuali non voluti;
  • aggressioni sessuali;
  • stupro;
  • esposizione;
  • messa in ridicolo dei comportamenti sessuali della donna e delle sue reazioni;
  • fare pressioni per l’utilizzo o la produzione di materiale pornografico;
  • la costrizione a rapporti sessuali con o in presenza di altre persone;
  • richiesta o imposizione di atti sessuali per mantenere il posto di lavoro o progredire nella carriera;
  • imposizione dell’aborto/obbligo di portare a termine la gravidanza;
  • imposizione di rapporti sessuali non protetti/divieto di far ricorso alla contraccezione;
  • -mutilazioni e/o operazioni forzate agli organi genitali;
  • prostituzione forzata;
  • pressioni e ricatti per sottoporsi a rapporti sessuali non desiderati; ecc.

Lo stalking

Lo stalking riguarda ogni forma di comportamento persecutorio e ossessivo verso la persona, volto a:

  • assillarla,
  • controllarla,
  • spaventarla,
  • farla desistere circa le proprie decisioni,
  • rendere pubblici aspetti della sua vita privata,
  • denigrarla o diffondere falsità sul suo conto sulla rete.

Attraverso:

  • telefonate e lettere anonime;
  • sms ed e-mail assillanti;
  • invio di fiori;
  • pedinamenti;
  • appostamenti,
  • sorveglianza sotto casa;
  • violazione di domicilio;
  • violazione della casella di posta e di account di social network;
  • scenate nei luoghi di lavoro;
  •  minacce di violenza verso la donna o persone a lei care;
  •  aggressioni;
  • tentato assassinio.

Lo stalking provoca di ansia e paura tali da comprometterne, a lungo andare, il normale svolgimento della quotidianità.

Il mobbing

Il mobbing riguarda ogni comportamento che danneggia l’integrità psico-fisica della persona nel rapporto e nel luogo di lavoro. Le donne lavoratrici immigrate, soprattutto le irregolari, sono tra le più a rischio.

E’ un isolamento esasperante e terrorismo psicologico attuato da superiori e/o colleghi/e di lavoro con:

  • continue sopraffazioni,
  • eccessivi e ripetuti rimproveri,
  • maldicenze,
  • ridicolizzazioni,
  • umiliazioni,
  • discriminazioni.

Tutte azioni che hanno lo scopo di costringere la persona all’allontanamento.

Femminicidio

Il culmine della violenza sulle donne è il femminicidio, ancora una volta, ripetiamo perché si chiama femminicidio e non omicidio:

  • Indica un fenomeno culturale preciso: la donna viene uccisa «in quanto donna»;
  • E’ il culmine del ciclo della violenza contro le donne basato sul rapporto di potere all’interno della coppia o della relazione;
  • La violenza viene usata per ristabilire il potere è espressione del desiderio di controllo, dominio e possesso dell’uomo sulla donna.
  • Le donne sono considerate un oggetto di proprietà e non un essere umano paritario.
  • Non è il come sia stata uccisa ma il PERCHE’. E’ questo che distingue un omicidio da un femminicidio.
  • Ad esempio: se un ladro entra in casa e mi spara, non è un femminicidio.
  • Se una donna viene uccisa per aver trasgredito al ruolo ideale di donna imposto dalla tradizione(dicotomia tra la donna obbediente, brava madre e moglie, la “Madonna” da una parte e la donna sessualmente disponibile, “Eva” la tentatrice dall’altra)
  • Per aver provato ad avere la libertà di decidere cosa fare della propria vita, per aver detto «NO», per essersi sottratta al potere e al controllo.

Le basi della violenza sulle donne sono profondamente radicate nella nostra cultura.  La nostra società si basa su rapporti di potere che fanno sì che alcune persone nascano con più privilegi rispetto ad altre.

Nello specifico, da secoli, la nostra società si basa sul potere bianco etero-patriarcale e questo fa sì che ci siano delle costruzioni di ruoli e di rapporti che vengono creati alla base di questo potere. Per questo è importante capire cosa ci sia alla base (ne abbiamo parlato nello specifico qui).

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Photo credit: Ashley Fairbanks @ziibiing

Gli stereotipi

Affrontiamo adesso quali sono gli stereotipi sulla violenza contro le donne:

1.  ….Le donne sono più a rischio di violenza da parte di uomini sconosciuti…

Gli aggressori delle donne sono in maggior numero i loro partner, gli ex partner, altri uomini conosciuti: «amici», colleghi, insegnanti, vicini di casa.

2. …La violenza colpisce solo donne fragili…

Tocca qualunque donna, possono essere vittime più facili le donne che non si stimano o si trovano in situazione di dipendenza per età o condizioni oggettive (socioeconomiche o familiari).

3. …La violenza sessuale è conseguenza di atteggiamenti provocanti o di comportamenti poco prudenti delle donne…

La violenza non E’ MAI giustificabile, qualunque sia la condotta di una donna. Abbiamo parlato qui di victim blaming e slut shaming.

4. …La violenza è presente fra le classi più povere o culturalmente e socialmente svantaggiate…

La violenza sulle donne è un fenomeno trasversale che interessa ogni stato sociale, economico, culturale, senza differenze di etnia, religione, o età.

5. …La violenza è causata da disturbi psichici o dall’assunzione di alcool o droghe…

La percentuale di maltrattanti che usano alcool e droghe o che hanno disturbi psichici è pari al 20% circa.

6. …Alle donne che subiscono violenza domestica “piace” essere picchiate, altrimenti se ne andrebbero di casa…

La paura, la sudditanza psicologica, la dipendenza economica, l’isolamento, la mancanza di alloggio, la riprovazione sociale, spesso da parte della stessa famiglia di origine, sono alcuni dei numerosi fattori che rendono difficile per le donne interrompere la situazione di violenza.

7. …La violenza domestica è causata da un momento di rabbia…

Il concetto di perdita di controllo/rabbia/raptus non è corretto in quanto le aggressioni sono spesso premeditate, ripetute nel tempo.

8. …La violenza deve trovare soluzione tra le pareti domestiche…

La soluzione la si può trovare attraverso una presa di coscienza della donna che, divenuta consapevole del problema, chiede aiuto e inizia il suo cammino supportata da persone esperte.

Cos’hanno in comune le violenze che abbiamo visto?  Una relazione di potere che utilizza il possesso e la sottomissione per mantenerlo. Ricordate, il possesso non è mai amore (ne abbiamo parlato qui).

Se sei vittima di violenza, chiama subito il 1522, sarai messa in contatto subito con il Centro Antiviolenza più vicino alla tua zona!

A cura di Giulia Terrosi

Sitografia e documenti utilizzati:

Per approfondire, ecco i libri consigliati:

– Aldo Rocco. “Perché gli uomini picchiano le donne”;

– Franca Gareffa, “Insicure da morire”;

– Cristina Obber. “Non lo faccio più”;

– Riccardo Jacona. “Se questi sono gli uomini”;

– Dacia Maraini. “L’amore rubato”;

– Serena Dandini. “Ferite a morte”;

– La 27esima Ora. “Questo non è amore”;

– Luciano Garofano-Rossella Diaz. “I labirinti del male”;

– AA.VV. “Nessuna più”;

– Asa Grennvall, “7° piano”, hop edizioni;

– Loredana Lipperini- Michela Murgia. “L’ho uccisa perché l’amavo. FALSO!”;

– Giacomo Grifoni. “Non esiste una giustificazione”

10 pensieri su “I tipi di violenza contro le donne

  1. chiedere “cosa stai facendo” non è violenza, anche una donna può chiederlo anche una donna può esser gelosa, l’importante è non essere ossessivi e rispettare l’altra persona

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  2. È interessante il fatto che un uomo abbia sottolineato operando una censura dal contesto (ovvero una forma frammentativa) che fare una domanda non è una violenza, infatti è prassi culturale patriarcale separare le unità, così frammentandole si possono veicolare meglio messaggi contro le interezze, bene ha fatto l’autrice (o le autrici o autori non so) a sottolineare che si parlava di meccanismo sistematico, inoltre isolare le parti fa focalizzare l’attenzione su una parte frammentata e non su un complesso sistemico, e anche questo è prassi strumentale derivante da una cultura com’è quella patriarcale che ha paura di perdere potere ovvero un privilegio che pretende di avere.
    Grazie per questo post che è molto interessante e focalizza bene appunto la dinamica sistemica.

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