GENDER PAY GAP in Europa e in Italia

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Se ne è sentito parlare spesso ultimamente, sottolineando che in in media, in Europa, le donne percepiscono uno stipendio inferiore del 16% rispetto agli uomini.

Non è purtroppo una novità. Le donne, sin dai tempi storici, sono sempre state pagate di meno. Basti pensare che ai tempi della seconda guerra mondiale, quando gli uomini erano chiamati nell’esercito (o partivano per unirsi ai partigiani), e le donne quindi dovevano occuparsi della famiglia anche a livello economico, cominciarono a lavorare nelle fabbriche al posto dei mariti percependo uno stipendio nettamente inferiore rispetto ai primi, solo in quanto donne.

Purtroppo non molto è cambiato (non in tutte le realtà, fortunatamente).

Ma andiamo per gradi.

Il Gender Pay Gap è la differenza salariale tra uomini e donne, calcolata su base della differenza del salario medio lordo orario (qui trovate le statistiche). L’unione europea definisce questo divario non corretto perchè non tiene conto dell’insieme dei fattori che lo influenzano, quali grado di istruzione, esperienza lavorativa, ore lavorate, il tipo di attività svolta, i bonus, i benefit e i premi produzione percepiti.

Infatti i dati vengono raccolti in maniera settoriale, ma non a parità di lavoro.

Esempi: in ambito ospedaliero, in cui i medici e i chirurghi sono in prevalenza uomini, e le infermiere in prevalenza donne, non si tiene conto dell’inquadramento in cui sono assunte le persone e ancora, a parità di inquadramento, non si tiene conto dell’esperienza lavorativa (come ad esempio gli scatti di anzianità) o la responsabilità effettiva. Un altro esempio esplicativo potrebbe essere lo stipendio di due manager in un’azienda. Una persona potrebbe prendere 100.000,00 € l’anno e avere sotto la sua responsabilità 1000 dipendenti, un’ altra potrebbe essere comunque manager, prendere uno stipendio di 50.000,00 € l’anno e avere sotto la sua responsabilità 500 dipendenti. Nel settore della logistica ad avere uno stipendio superiore (a parità di orario) invece sono soprattutto le donne poiché svolgono maggiormente attività di segretariato e sono quindi assunte con l’inquadramento di impiegata che e percepiscono quindi uno stipendio superiore rispetto agli uomini che svolgono maggiormente un’attività operaia (ovviamente c’è l’eccezione che conferma la regola, non voglio cadere sul luogo comune e lo stereotipo, concedetemelo).

Sono troppi quindi i fattori che il Gender Pay Gap non prende in considerazione.

A parità di inquadramento, di tempo di assunzione, di lavoro svolto e di responsabilità, c’è differenza tra uomo e donna? Vi invito a fare questo esperimento. Chiedete a un vostro collega uomo o una vostra collega donna che abbia le vostre stesse identiche mansioni, di confrontare le vostre buste paga. Se l’uomo guadagna di più della donna allora esiste una vera e propria disparità salariale e quindi la vostra azienda agisce in modo sessista nei vostri confronti. Questo è illegale e va denunciato.

Con questa affermazione, penserete voi, che potrei tirarmi la zappa sui piedi. In realtà no, tutto il contrario.

Quello che voglio sottolineare è che sì, lo stipendio inferiore percepito dalle donne, ma anche le motivazioni che spingono le aziende a pagare di meno e le donne a prendere una retribuzione più bassa.

Al 2014, in Europa il tasso complessivo di occupazione femminile era di circa il 63 % mentre quello maschile era del 76%. Direi una netta differenza tra le percentuali. Inoltre una grande parte delle donne lavora part-time e quindi prende poco più della metà dello stipendio full-time. Capite quindi che questa indicizzazione sul calcolo della media degli stipendi non è molto attendibile.

Ma perché le donne preferiscono lavorare part-time? Manca purtroppo in Italia, come in molti paesi europei, una organizzazione da parte dello Stato e delle aziende per far conciliare la carriera con la vita familiare (welfare). In paesi patriarcali come il nostro, in cui è solo la donna a doversi occupare della prole, e in cui il congedo di paternità è legale ma praticamente inutilizzato, ecco che le donne preferiscono lavorare meno se vogliono crearsi una famiglia.

Inoltre la maternità in ambito lavorativo è vista come una piaga, un problema, non solo per un avanzamento di carriera, ma anche e soprattutto per l’assunzione. E’ comune (anche se illegale) che le aziende chiedano le dimissioni in bianco in caso di maternità, o ancora un’impegnativa sottoscritta dalla donna in assunzione in dichiara di non rimanere incinta per “x” anni. Una scorrettezza in piena regola che ovviamente la legislazione europea (e quella italiana) vietano, ma che purtroppo ancora si riscontra.

Una delle preoccupazioni principali sostanziali è il rischio di povertà soprattutto in vecchiaia. Le donne, avendo uno stipendio più basso, non solo fanno più fatica nella loro vita lavorativa, ma sono a rischio povertà anche nella vecchiaia. Nel 2012 la percentuale di donne oltre i 65 anni a rischio povertà raggiungeva infatti il 21,7%, contro il 16,3% degli uomini.

Colmare il divario retributivo di genere consisterebbe innanzi in una maggiore consapevolezza dei motivi per cui una donna si ritrova a lavorare meno o a non avanzare di carriera, e sarebbe utile un maggior sostegno da parte delle istituzioni per far sì che la donna possa conciliare lavoro e famiglia.

Sono molti i motivi i per i quali il divario retributivo di genere andrebbe colmato. In primis per una maggiore uguaglianza tra donne e uomini per avere una società economica regolare in cui si può ridurre il livello di povertà delle donne la possibilità di vivere una vita più serena. Inoltre le aziende ci guadagnerebbero perché avrebbero sicuramente una scelta più ampia nel proprio organico e si creerebbe una sana concorrenza che motiverebbe i propri dipendenti a lavorare meglio e di più per la possibilità di carriera. Si andrebbe avanti per meritocrazia e non per sessismo. Sarebbe un bel passo avanti. Senza parlare del fatto che le acque si stanno smuovendo e per le aziende, affrontare vertenze e ricorsi per discriminazione e sessismo sarebbe estremamente oneroso oltre una grossa perdita di immagine. Insomma, la parità di genere non può che portare miglioramenti alla società economica attuale.

L’UNIONE EUROPEA E IL SUO IMPEGNO 

Proprio come ho accennato all’inizio, il problema del divario economico non è cosa nuova. Infatti già nel 1957, con il Trattato di Roma, ci si preoccupo’ di risolvere questo problema.

L’Unione Europea si impegna, entro il 2020 ad innalzare il tasso di occupazione almeno fino al 75% tra i 20 e i 64 anni e di eliminare la povertà e l’esclusione sociale per 20 milione di persone, creando nuovi posti di lavoro qualificati e aumentando l’occupazione femminile.

Nel 2006 è stata emanata una direttiva la 2006/54/ce in cui tratta in sintesi:

  • Le condizioni di lavoro e di retribuzione: stessa remunerazione per lavori equivalenti sia per donne che per uomini; gli Stati membri devono adottare provvedimenti specifici volti a compensare le eventuali disparità esistenti, devono essere chiariti i principi che attengono alla tutela della maternità e paternità (anche adottiva) e vietando ovviamente il licenziamento e la perdita dei diritti di acquisiti quali la diritti sulla salute e la sicurezza; dispone inoltre che qualsiasi eccezione alla regola della parità deve essere adeguatamente motivata.
  • Previdenza: viene completata la normativa riguardante i fondi pensione integrativi. Oltre al divieto di discriminazione, la nuova direttiva enuncia regole per l’implementazione del principio di parità ed esempi di situazioni discriminatorie.
  • Vengono dettate le definizioni seguenti:
     discriminazione, diretta e indiretta (ovvero condizioni che non costituiscono in sé
    discriminazione, ma creano uno svantaggio oggettivo)
     molestia e molestia sessuale
     retribuzione
     previdenza integrativa
  • Controversie:
     i paesi membri devono mettere in atto misure tali da assicurare che chi subisce un qualunque danno dovuto a discriminazione di genere riceva un indennizzo equo, senza alcun limite predefinito quanto all’entità dello stesso.
     spetta alla parte che viene accusata di aver messo in atto un comportamento discriminatorio portare prove atte a dimostrare il contrario. Questa regola si applica anche ai casi che riguardano la previdenza.
  • Responsabilità degli Stati membri:
     istituire specifici organi il cui scopo sia quello di promuovere la parità di trattamento e monitorare la situazione nei rispettivi paesi, lo stato di implementazione della normativa europea e i suoi risultati, e offrire protezione alle vittime di discriminazione assicurando tutela a chi denuncia una discriminazione contro le possibili ritorsioni
     promuovere allo stesso fine il ruolo delle parti sociali e delle ONG
     istituire un sistema di sanzioni tali da costituire un deterrente efficace contro i
    comportamenti discriminatori;
     incoraggiare datori di lavoro e responsabili della formazione ad agire nel senso di prevenire discriminazioni di genere, molestie e molestie sessuali

Il 5 marzo 2011 è stata celebrata per la prima volta la Giornata europea per la parità retributiva, e la data dell’evento ogni anno viene determinata in funzione del numero dei giorni dall’inizio dell’anno necessari per colmare il divario (in poche parole dal 1° gennaio si calcolano i giorni che una donna dovrebbe lavorare in più rispetto a un uomo per arrivare allo stesso stipendio). Quest’anno la Giornata è stata celebrata il il 3 novembre, a meno di due mesi dalla fine dell’anno.

Tra il 2012 e il 2013 la Commissione ha svolto il progetto “Equality Pays Off”, organizzando 39 eventi tra cui 34 workshop in paesi differenti, un forum economico svoltosi il 21 marzo 2013 e 4 corsi sulla parità retributiva di genere.

STRATEGIE ADOTTATE DA ALCUNI STATI EUROPEI

Il Global Gender Gap Index 2016  è un indice del World Economic Forum che calcola il divario di genere nei paesi di tutto il mondo basandosi su criteri economici, politici, educazione e salute.

Dal 2006 è a disposizione un report annuale  con la classifica delle nazioni:

Rank Economy Score
1 Iceland 0.874
2 Finland 0.845
3 Norway 0.842
4 Sweden 0.815
5 Rwanda 0.8
6 Ireland 0.797
7 Philippines 0.786
8 Slovenia 0.786
9 New Zealand 0.781
10 Nicaragua 0.78
11 Switzerland 0.776
12 Burundi 0.768
13 Germany 0.766
14 Namibia 0.765
15 South Africa 0.764
16 Netherlands 0.756
17 France 0.755
18 Latvia 0.755
19 Denmark 0.754
20 United Kingdom 0.752
21 Mozambique 0.75
22 Estonia 0.747
23 Bolivia 0.746
24 Belgium 0.745
25 Lithuania 0.744
26 Moldova 0.741
27 Cuba 0.74
28 Barbados 0.739
29 Spain 0.738
30 Belarus 0.737
31 Portugal 0.737
32 Costa Rica 0.736
33 Argentina 0.735
34 Luxembourg 0.734
35 Canada 0.731
36 Cape Verde 0.729
37 Bahamas 0.729
38 Poland 0.727
39 Colombia 0.727
40 Ecuador 0.726
41 Bulgaria 0.726
42 Jamaica 0.724
43 Lao PDR 0.724
44 Trinidad and Tobago 0.723
45 United States 0.722
46 Australia 0.721
47 Panama 0.721
48 Serbia 0.72
49 Israel 0.719
50 Italy 0.719
51 Kazakhstan 0.718
52 Austria 0.716
53 Tanzania 0.716
54 Botswana 0.715
55 Singapore 0.712
56 Zimbabwe 0.71
57 Lesotho 0.706
58 Mongolia 0.705
59 Ghana 0.705
60 Madagascar 0.704
61 Uganda 0.704
62 Albania 0.704
63 Kenya 0.702
64 El Salvador 0.702
65 Vietnam 0.7
66 Mexico 0.7
67 Malawi 0.7
68 Croatia 0.7
69 Ukraine 0.7
70 Chile 0.699
71 Thailand 0.699
72 Bangladesh 0.698
73 Macedonia, FYR 0.696
74 Venezuela 0.694
75 Russian Federation 0.691
76 Romania 0.69
77 Czech Republic 0.69
78 Honduras 0.69
79 Brazil 0.687
80 Peru 0.687
81 Kyrgyz Republic 0.687
82 Senegal 0.685
83 Bosnia and Herzegovina 0.685
84 Cyprus 0.684
85 Cameroon 0.684
86 Azerbaijan 0.684
87 India 0.683
88 Indonesia 0.682
89 Montenegro 0.681
90 Georgia 0.681
91 Uruguay 0.681
92 Greece 0.68
93 Tajikistan 0.679
94 Slovak Republic 0.679
95 Suriname 0.679
96 Paraguay 0.676
97 Dominican Republic 0.676
98 Belize 0.676
99 China 0.676
100 Sri Lanka 0.673
101 Hungary 0.669
102 Armenia 0.669
103 Brunei Darussalam 0.669
104 Gambia, The 0.667
105 Guatemala 0.666
106 Malaysia 0.666
107 Swaziland 0.665
108 Malta 0.664
109 Ethiopia 0.662
110 Nepal 0.661
111 Japan 0.66
112 Cambodia 0.658
113 Mauritius 0.652
114 Liberia 0.652
115 Maldives 0.65
116 Korea, Rep. 0.649
117 Angola 0.643
118 Nigeria 0.643
119 Qatar 0.643
120 Algeria 0.642
121 Bhutan 0.642
122 Guinea 0.64
123 Burkina Faso 0.64
124 United Arab Emirates 0.639
125 Timor-Leste 0.637
126 Tunisia 0.636
127 Benin 0.636
128 Kuwait 0.624
129 Mauritania 0.624
130 Turkey 0.623
131 Bahrain 0.615
132 Egypt 0.614
133 Oman 0.612
134 Jordan 0.603
135 Lebanon 0.598
136 Cote d’Ivoire 0.597
137 Morocco 0.597
138 Mali 0.591
139 Iran, Islamic Rep. 0.587
140 Chad 0.587
141 Saudi Arabia 0.583
142 Syria 0.567
143 Pakistan 0.556
144 Yemen 0.516

Concentriamoci sull’Europa.

Al primo posto troviamo, e senza neanche troppe sorprese, l’Islanda. Questo paese infatti, oltre ad essere un paese femminista al 100% è stato anche il primo paese che è riuscito ad uscire dalla crisi economica mondiale (sempre detto io, che se non fosse troppo freddo, ci andrei a vivere senza pensarci due volte!!).

Secondo, terzo, quarto posto per i Paesi Scandinavi. E anche qui non ne sono rimasta sorpresa. Anzi. Me lo aspettavo.

L’Italia è al 50° posto. E non voglio commentare…

Adesso affrontiamo qual è la situazione attuale paese per paese.

ISLANDA 

La soluzione islandese per sopperire alla mancanza di una parità salariale è stata quella varare una legge che obbligasse i datori di lavoro a fornire una documentazione sufficiente ad ottenere una certificazione aziendale che rispetta la parità retributiva di genere. Inoltre la polizia statale e la polizia tributaria inizieranno, nel 2018, i controlli a tappeto su tutte le aziende. Questi controlli dureranno circa 4 anni. Un aiuto significativo c’è stato anche da parte della The Iceland Women’s Right Association che ha combattuto a suon di marce e proteste, affinchè il governo adottasse misure riparative.

FINLANDIA 

Tra il 2006 e il 2015 ha sottoscritto un programma che come obiettivo aveva la riduzione del salario retributivo tra il 15% e i 20%, invitando le aziende ad accordi con le dipendenti, sostenendo la carriera femminile, istituendo la revisione dei sistemi retributivi e cercando di eliminare la segregazione.

SVEZIA 

Nel 2009 ha varato la legge anti discriminazione imponendo ai datori di lavoro di adeguarsi eliminando le disparità salariali e punendo le discriminazioni lavorative tra uomini e donne. Ogni tre anni le aziende devono indurre un sondaggio per individuare le disparità e porre rimedio. Tutte le aziende con più di 25 dipendenti, in questo caso devono elaborare un vero e proprio piano di azione.

GERMANIA 

Il 30 marzo 2017 il Bundestag tedesco ha approvato una normativa che obbliga le aziende con più di 200 dipendenti (più di 18mila aziende) a rendere noto, a chiunque voglia saperlo, quanto viene pagato un/una collega per la stessa prestazione lavorativa. Mentre per le aziende con oltre 500 impiegati dovranno fornire dei rapporti sul trattamento salariale dimostrando quindi l’allineamento degli stipendi.

La Germania, insieme al Lussemburgo e la Svizzera hanno istituito uno strumento online chiamato Logib che permette alle aziende di verificare se è effettivamente rispettata la parità salariale analizzando il proprio organico e gli stipendi dei propri dipendenti. Inoltre la Svizzera ha introdotto un logo che solo le aziende che rispettano una politica salariale egualitaria, possono ottenere.

FRANCIA 

La legge del 2006 prevede che le imprese presentino una relazione sulle retribuzioni e i relativi piani per equilibrare la disparità retributiva. Sono previste forti sanzioni per le aziende con almeno 50 dipendenti che non rispettano gli impegni sulla parità di genere. Nel 2013 due aziende sono state condannate infatti, per non aver rispettato le normative.

GRAN BRETAGNA 

La The Equality Act 2010 (Gender Pay Gap Information) Regulations 2017 prevede che le aziende con oltre 250 dipendenti devono, ogni anno, pubblicare i dati relativi alle remunerazioni e ai bonus dati ai dipendenti.

La è stata varata grazie al lavoro di Women and Equalities Select Committee che lo scorso anno ha presentato un report sulla situazione attuale lavorativa in Gran Bretagna e il primo ministro si è impegnato a risolvere così i problemi di disparità salariale.

E’ stato inoltre pubblicato lo Statutory Code of Practice on equal pay, uno strumento che permette di individuare le circostanze e le modalità per l’applicazione della normativa sulla parità retributiva. Lo statuto  rivolto soprattutto a giuristi, direttori delle risorse umane e magistrati.

ESTONIA

11 aprile 2013 è stata organizzata dalla Business and Professional Women-Estonia la rima Giornata per la Parità Retributiva. Sono stati venduti dei piatti di salmone con o senza aneto a prezzi diversi, per simboleggiare il divario retributivo di genere nel paese. Il BPW si impegna inoltre a raccogliere esperienze e a denunciare l’iniquità dei sistemi retributivi.

BELGIO

E’ stato il primo paese europeo a organizzare la Giornata per la Parità Retributiva nel 2005. Ogni anno vengono organizzate campagne con manifesti, pubblicità per radio, volantini, inserzioni pubblicitarie e sito web.

Dal 2007 Institut pour l’égalité des femmes et des hommes pubblica ogni anno una relazione relativa al divario retributivo e il 22 aprile 2012 il governo ha varato una legge sulla riduzione del divario retributivo di genere che obbliga le imprese a indicare le differenze salariali e il costo del lavoro tra uomini e donne nel bilancio sociale. Questo bilancio viene trasmesso alla banca centrale belga che lo rende poi pubblico.

Le imprese con più di 50 dipendenti devono, ogni due anni redigere un bilancio comparativo e se vi sono disparità, devono definire un piano di azione. Se si sospetta che ci sia disparità occorre rivolgersi al mediatore dell’impresa che, una volta accertata, deve trovare un compromesso con i datore di lavoro per risolvere quindi il problema.

LITUANIA

Si è impegnata a ridurre la disparità di genere cercando di aumentare gli stipendi nei settori a prevalenza femminile quali l’istruzione, l’arte, la cultura e il sociale.

SPAGNA

Il 22 febbraio di ogni anno celebra la Giornata per la Parità Retributiva. Il ministero ha creato un logo per le pari opportunità e le politiche antidiscriminatorie che viene riprodotto su una lotteria nazionale. Vengono prodotti francobolli commemorativi per la questa giornata.

PORTOGALLO 

Ogni anno i datori di lavoro devono estrarre dai fascicoli del personale una serie di dati riguardanti i diversi aspetti delle condizioni di lavoro tra cui la retribuzione, e trasmetterli al Ministero del lavoro e dell’occupazione. Questi fascicolo sono poi messi a disposizione dei dipendenti e trasmessi all’ispettorato del lavoro, ai sindacati e ai comitati del personale.

L’8 marzo 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato alcune misure per garantire e promuovere la parità di opportunità tra cui lo sviluppo e la diffusione di una relazione sul divario retributivo per i settori industriali.

Nel settore alberghiero e della ristorazione ha introdotto un metodo di valutazione professionale non sessista che analizza le mansioni maschili e femminili e ne verifica la parità salariale.

AUSTRIA

E’ stato varato un piano di azione nazionale per la parità di genere sul mercato del lavoro. Ha introdotto uno strumento, il Gehaltsrechner, ovvero un calcolatore che fornisce informazioni aggiornate sulle condizioni remunerative di un settore lavorativo o un determinato posto di lavoro.

Ogni due anni le imprese devono rendere conto della loro politica remunerativa pubblicando la percentuale di uomini e donne impiegate e il loro reddito medio.

REPUBBLICA CECA

Nel 2010 ha la Business and Professional Women ha organizzato la prima edizione della Giornata per la Parità Retributiva. Vengono svolte attività di consulenza e convegni in cui si possono ascoltare le varie esperienze di manager e imprenditori e come gestiscono la parità di genere. Vengono poi distribuite delle tradizionali borse rosse con il logo della giornata.

STATI UNITI

Anche se non europeo, ho voluto porre l’attenzione anche agli Stati Uniti.

Il primo provvedimento preso per l’uguaglianza salariale risale al 1963, firmato da John F. Kennedy. Si trattata del The Equal Pay Act.

Obama, nel 2009 firmò il Lilly Ledbetter Fair Pay Act che poi è stato seguito dal The White House Equal Pay Gap nel 2016. Quest’ultimo è stato seguito da oltre 100 società statunitensi. Si tratta di un impegno volontario (e non un obbligo) a dare visibilità politiche di remunerazioni interne e dei dati relativi alle retribuzioni.

La società di gestione Pax World Management, con un giro d’affari di oltre 4 miliari di dollari, ha convinto alcune società ad investire su questo progetto e a prendere un impegno a favore della parità salariale fra i generi.

E L’ITALIA???

L’art. 46 del D.Lgs. 11 aprile 2006 n. 198 prevede che le aziende con oltre 100 dipendenti devono redigere un rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile.

Il termine ultimo per la presentazione di questi bilanci era il 30 aprile 2016. Purtroppo però ancora questi dati non sono accessibili.

I dati Istat del 2015 affermano che il 60% delle donne che lavorano part-time non lo fanno volontariamente, ma sono costrette a questa scelta per conciliare la famiglia con il lavoro.

Monica Parrella, direttrice dell’Ufficio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità della Presidenza del Consiglio, afferma che è stato istituito un bando di un milione di euro per il progetto “In estate si imparano le Sten”, ovvero un progetto per avvicinare le studentesse alle materie scientifiche. Infatti i settori tecnologici sono quelli che pagano di più e sono altresì quelli che dimostrano una presenza femminile inferiore.

Il record in fatto di diseguaglianza in Italia si ha in campo artistico e sportivo. E’ sufficientemente noto infatti che, ad esempio nel calcio, le donne guadagnano cifre nettamente inferiori rispetto agli uomini. Fonte

Il 12 febbraio 2013 è entrato in vigore il Decreto del Presidente della Repubblica n. 251 del 30 novembre 2012,  che attribuisce nel caso specifico alla Ministra delegata per le pari opportunità Elena Maria Boschi, il compito di monitorare e vigilare sul rispetto delle quote di genere delle società e delle pubbliche amministrazioni.

Il DPR 251/2012 stabilisce che le società non quotate e quindi controllate dalla Pubblica Amministrazione secondo l’ 2359 1° comma e 2° comma c.c. dovranno essere costituite per almeno 1/3 dalla genere in minoranza.

Qualora risulti che la società non rispetti la quota, essa verrà diffidata a ripristinare la quota entro 60 giorni. Se ciò non avviene vi sono altri 60 giorni di tempo, dopo di chè, se ancora le società non si sono messe in regola, i componenti dell’organo decadono.

Il Dipartimento per le pari opportunità – Ufficio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità – della Presidenza del Consiglio dei Ministri è la struttura deputata ad espletare le funzioni di monitoraggio e di vigilanza sull’attuazione della normativa al fine di assicurare il raggiungimento di un’adeguata rappresentatività di genere nelle attività economiche ed una più incisiva presenza femminile nella governance delle imprese – (articolo 4 del DPR 251/2012).

Le mansioni di controllo e vigilanza hanno lo scopo di:

  • controllare la corretta applicazione delle disposizioni normative; 
  • predisporre l’elenco delle società controllate da pubbliche amministrazioni nonché della composizione aggiornata degli organi societari;
  • raccogliere le segnalazioni sulla mancata attuazione della normativa; 
  • esaminare le segnalazioni pervenute; 
  • emanare i provvedimenti di diffida;
  • verificare l’ottemperanza alle diffide;
  • elaborare la relazione al Parlamento.

Le società che rientrano nell’art. 2359 c.c. dovranno, entro 15 giorni, comunicare, attraverso la procedura online all’indirizzo www.monitoraggioquotedigenere.gov.it la loro composizione. Inoltre, nel caso in cui si voglia segnalare una disparità di equilibrio di genere nella composizione degli organi sociali si può scrivere una PEC all’indirizzo segreteria.interventipariop@pec.governo.it

Fonte: Dipartimento per le pari opportunità – Presidenza del Consiglio dei Ministri

A parer mio c’è una grossa lacuna in Italia per la tutela della parità di genere, ma ci stanno lavorando.

Secondo il Global Gender Gap Report 2016 del Word Economic Forum, su 136 paesi l’Italia non è proprio messa bene (Fonte).  Andiamo a vedere meglio i dati nello specifico:

1

L’Italia è al 117esimo posto per quanto riguarda la partecipazione economica e le opportunità di lavoro delle donne nei confronti degli uomini.

Al 56esimo posto per quanto riguarda il livello di educazione

Al 72esimo posto per l’educazione e la sopravvivenza.

Al 25esimo posto per parità nella vita politica.

2.png

Come vedete dai dati, il divario è ancora molto alto per quanto riguarda la partecipazioni economica, e l’empowerment politico.

Un altro enorme problema in Italia è la mentalità. Circa un mese fa Elena Maria Boschi twittò che in Norvegia si era raggiunta la parità salariale tra uomini e donne nel calcio. E che si augurava che questa cosa potesse venire anche in Italia. E’ stata ampiamente criticata (e pure offesa!!) perché la sua maggiore preoccupazione era lo stipendio dei/delle calciatori/calciatrici quando in Italia molte persone sono senza lavoro (maggiori informazioni sulla vicenda QUI).

Vero, ma fino ad un certo punto. Come ho dimostrato l’impegno a migliorare la situazione in Italia c’è. Vero anche che la crisi economica ha messo in ginocchio milioni di italiani, e che molti non hanno un lavoro. Vero però, e parlo per luoghi comuni, concedetemelo, molti italiani protestano più facilmente se gli togli il calcio piuttosto che se gli togli il lavoro. E per me, opinione quindi mia e del tutto sindacabile, la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Elena Maria Boschi, ha utilizzato l’argomento del calcio per sottolineare e evidenziare un problema, perché il calcio effettivamente, fa notizia!

Ma tanto vero che in Italia, tutto quello che fa il Governo, non è mai giusto.

Occorre un cambiamento radicale e non solo nella legislatura. Occorre maggiore sostegno da parte dello Stato affinchè le donne riescano effettivamente a conciliare famiglia e lavoro. Occorre maggiore impegno da parte delle aziende affinchè non adoperino con sessismo nelle assunzioni, e occorre un cambio di mentalità.

In Italia purtroppo, soprattutto nei paesi, ancora la donna è considerata “colei che deve pensare alla casa”, e non colei che ha ambizioni professionali e che vuole un’indipendenza economica. In molte realtà italiane le ragazze crescono ancora pensando “che non è importante studiare perchè tanto troverò un marito che penserà a me”. Io per prima conosco tante ragazze che basano la vita su questa linea di pensiero.

Sdradicare il patriarcato e il sessismo dalla cultura italiana è difficile. Sensibilizzare in primis le donne alle opportunità di lavoro, di carriera, di indipendenza e stabilità economica è il primo vero passo da fare. 

 

A cura di Valentina R.

Fonti:

Il Sole 24 ore 

Il Sole 24 ore

Internazionale

The Iceland Women’s Right Association 

The Equality Act 2010 (Gender Pay Gap Information) Regulations 2017

Women and Equalities Select Committee 

Statutory Code of Practice on equal pay

Camera.it

Strumento di autocontrollo: Logib

Global Gender Gap Report 2016

Colmare il divario retributivo di genere nell’unione europea

European Commission Press Release Database

Business and Professional Women-Estonia

Institut pour l’égalité des femmes et des hommes

Strumento – Gehaltsrechner

Se la differenza fra uomo e donna è una vacanza a quattro stelle – Corriere.it

La legge per tutti

Dipartimento per le pari opportunità di Genere

Procedura online per la comunicazione della nuova composizione degli organi di amministrazione e controllo da parte delle società pubbliche

Calcio e stipendi: la parità di genere è possibile, almeno in Nazionale

 

 

 

3 pensieri su “GENDER PAY GAP in Europa e in Italia

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